25 giu 2007

Trash City


Con l'arrivo del caldo, la buzzurraggine degli stabiesi si eleva in parallelo con le temperature.
Al supermercato SISA di via Denza, per esempio, gli acquirenti del reparto frutta & verdura non conoscono l'esistenza dei guanti di plastica per la scelta dei prodotti. Di più: gli addetti del reparto si guardano bene dal richiamare all'ordine i clienti.
La scena sembra così quella di un caratteristico mercatino rionale dell'Ottocento.

Questo manifesto desiderio di suk è reso ancora più eclatante dalla presenza di due o tre Apecar (in napoletano: "i trerruote") che stazionano illegalmente in pieno centro cittadino riscuotendo i famelici interessi delle massaie alle quali non par vero di acquistare pomodori e basilico così come si faceva fino a quarant'anni fa.

A Castellammare il disordine è la regola per una cittadinanza incapace di fare a meno delle auto private e ipnotizzata dall'uso dei motorini (il cui rumore continuo compete con quello delle seghe circolari di una mezza dozzina di falegnamerie).

L'acuto stridore dei ciclomoti aumenta in concomitanza con l'arrivo dell'estate. E le possibilità di essere investiti - ne parleremo più in là - mentre camminate tranquillamente sui merciapiedi si incrementano di pari passo.

Trash City...

19 giu 2007

Comics: Best of the Year 2005

Da un paio d'anni il sito de Lo Spazio Bianco (trovate l'indirizzo nella colonnina al lato) propone una classifica che sancisce e premia il meglio del fumetto pubblicato in Italia nell'arco di una circonvoluzione terrestre intorno al Sole.

La classifica viene stilata tenendo conto delle preferenze personali di un gruppo di critici e professionisti del settore del quale il sottoscritto è felice e orgoglioso di essere stato chiamato a far parte.

Ho deciso di riproporre anche in questa sede le ultime preferenze da me redatte onde incominciare a creare un piccolo database dei miei gusti e delle mie riflessioni critiche sul fumetto.

Incominciamo col "best" del 2005. Seguirà a breve quello del 2006.



01. Wanted
I superuomini così come li visualizzerebbero l'Irvine Welsh di "Trainspotting" e "The Acid House" e il Chuck Palahniuk di "Fight Club". Doloroso e disturbante, intelligente e tagliente, porta a compimento – dopo vent'anni - uno dei possibili (forse quello più inevitabile) sviluppi di "Watchmen".



02. Chosen
Romanzo di formazione alla rovescia, rappresenta per volti versi il naturale completamento di "Wanted" (scritto dallo stesso sceneggiatore). L'epilogo è indimenticabile e più che a una grandeur citazionistica in stile hollywoodiano - un equivoco nel quale sono inciampati in molti - rimanda a una dolente presa di coscienza dell'impossibilità di portare a compimento i propri sogni.



03. Ex Machina
La prosecuzione della tradizione supereroistica con altri mezzi. I superpoteri costituiscono uno strumento reazionario che non risolve i problemi dell'umanità e, anzi, alimenta la forza dello status quo. Da questa consapevolezza deriva la decisione del protagonista di abbandonare la carriera supereroistica e scendere nell'agone politico. Se fosse una serie televisiva vincerebbe una caterva di Golden Globe e di Emmy.



04. Gotham Central 3: Soft Targets
I supereroi creano solo danni. Il distretto di polizia di Gotham City si ritrova nel bel mezzo di un fuoco incrociato tra Batman e il Joker. E nessuno ne comprende le cause. Mentre i tutori dell'ordine sono costretti a contare i cadaveri, gli uomini mascherati portano avanti le loro eterne storie di scontri e odii atavici. Ma dietro alla loro guerra si cela il nulla. Una storia fondamentale che ben dipinge lo stato confusionale dell'America del post-11 settembre e del post-Iraq. Raggelante.



05. City of Silence
Oltre la fantascienza, oltre il postmodernismo: "City of Silence" rimescola Burroughs e il movimento Cyberpunk, riconducendo il tutto alle radici "archetipe" del surrealismo di Breton. Il risultato è una narrazione d'impianto noir distorta dai fumi di un delirio lisergico. E il tutto disegna perfettamente la nostra realtà e lo status emotivo-mentale dei nostri tempi.



06. Julia 86 - Myrna: a sangue caldo
Una serie criticatissima e contestatissima dai navigatori della Rete, che però riesce a sfornare perlomeno un paio di impagabili gioielli all'anno. "Myrna: a sangue caldo" rappresenta l'ennesima incursione di Berardi nei territori dell'impazzimento quotidiano, laddove il male aspetta solo di saltare fuori dalle pieghe delle nostre frustrazioni e dei nostri piccoli, meschini fallimenti. Una sceneggiatura calibratissima per una storia che non può non far male davvero.



07. Chicanos
Ex piatto forte delle riviste Eura, "Chicanos" propone le disavventure di A.Y. Jalisco, scalcinata, dolente, insopportabile e, al contempo, adorabile detective che si muove in una metropoli occidentale meticcia e vulcanica. Commedia umana allo stato puro, percorsa da testi sagaci e dalle vignette di un disegnatore in stato di grazia, "Chicanos" sa mescolare Rabelais e Woody Allen, donandoci una protagonista davvero unica.



08. Torso
Scrittore di punta dell'attuale panorama fumettistico statunitense, Bendis è anche un interessante autore completo, capace di realizzare noir originali, avvincenti e sorprendenti. "Torso" è una storia cruda e serrata, contraddistinta da costruzioni e dialoghi che rimandano immediatamente a uno stile narrativo d'impianto cinematografico. E che la sua prossima trasposizione in celluloide sia stata affidata a cupo genio registico di David Fincher ("Seven", "Panic room"), la dice tutta sul fascino orrido e inquieto che emana questo libro.



09. Largo Winch
Serie di culto del mercato librario transalpino, "Largo Winch" può godere finalmente di una sua attesissima, sistematica riproposizione in volume (nella collana Euramaster) anche nel nostro paese. Lo sceneggiatore Van Hamme riesce a rielaborare tutta la tradizione dell'avventura e della spy-story classica trasformando i più abusati luoghi comuni legati ai generi popolari in merce inedita e sopraffina. E il disegnatore Philippe Francq lo coadiuva con uno stile realistico e scattante e uno storytelling che, a tratti, sfiora il vertiginoso.



10. Zeno Porno
Paolo Bacilieri è forse l'unico, degno erede di quella rivoluzione fumettistica nostrana che va ricollegata al gruppo di Frigidaire. Fin dal titolo "Zeno Porno" crea un corto circuito con l'opera di un grandissimo del Novecento, Italo Svevo, con le suggestioni dei flussi di coscienza di Joyce e le aperture psicanalitiche di Freud. Il risultato è un'opera che prende di sana pianta uno dei più fecondi e mirabili triangoli filosofico-letterari del post-decadentismo e del primo scorcio del secolo XX, frullandolo e rimasticandolo in chiave underground, grottesca e pop. Intelligente, colto, sincero e gustoso.

18 giu 2007

Not over yet

Sono appena tornato dalla clinica. Mia moglie e la piccirilla sono in gran forma ed entrambe adorabili.
Al momento mi sto concedendo qualche ora di cazzeggio libero, disinteressandomi di impegni più o meno urgenti anche se stasera dovrò incominciare a scrivere un articolo di 11.000 battute sull'ultimo capitolo di Watchmen. Me l'ha chiesto Andrea Antonazzo per le pagine di "Fumo di China", storica rivista italiana dedicata al mondo del fumetto che ha deciso di celebrare in qualche modo il ventennale dell'epocale capolavoro realizzato tra 1986 e l''87 dai britannici Alan Moore e Dave Gibbons.

A dire la verità ho già partecipato a un progetto del genere con un intervento per "Watchmen: 20 anni dopo", un bel volumone a più mani, riccamente illustrato, curato dall'amico Smoky Man ed edito dalla campana Lavieri. Ma "Fumo di China" mi offre l'occasione per concentrarmi maggiormente, ampliandole, su alcune questioni che avevo già toccato in occasione del mio precedente contributo.

Intanto, se decidete di trattenervi ancora un po' in questo mio spazio, godetevi un altro pezzo dei Klaxons che, a quanto pare, in Rete suscitano pareri diametralmente opposti: c'è chi li adora e chi vorrebbe invece le loro teste su una picca.
Not over yet è una cover di questa semidimenticata canzone dance della metà degli anni Novanta cantata (?) da una tizia a me sconosciuta di nome Grace (che conta, però, un insospettabile numero di ammiratori nostalgici):


I Klaxons, dal canto loro, l'hanno rimaneggiata in versione nu-punk e ci hanno tirato fuori un video che è la virtuale prosecuzione di Golden Skans (che trovate da qualche parte in questo blog): una divertente paraculata che cita liberamente Star Wars, Matrix e Conan il barbaro:



Nel Web c'è anche chi si è a tal punto incazzato a tutela dell'integrità della versione originale che inizialmente pensavo che i Klaxons si fossero macchiati di qualche forma di lesa maestà nei confronti di Nirvana, Pearl Jam, Beatles, Genesis e quant'altro. Invece si trattava della notissima e citatissima... Grace: ma si può?

A star is born

La nascita di una figlia è come se Natale, Pasqua, Ferragosto, il tuo compleanno, il tuo onomastico, la tua più grande storia d'amore, il tuo più grande successo professionale, la più bella giornata di primavera della tua vita, la più bella scampagnata della tua vita, la più bella nuotata della tua vita, la più bella scalata della tua vita, il più bel film della tua vita, la più bella lettura della tua vita, il più bel complimento mai ricevuto nella tua vita ti arrivassero insieme contemporaneamente senza che tu sappia come dividerti.

Benvenuta Myriam, benvenuta piccirilla mia.

Ti dedico la prima ninna-nanna della tua ancora breve esistenza.

Spero di essere all'altezza di un buon papà. Spero di vederti crescere bene.



"Teardrop" dei Massive Attack.

11 giu 2007

Hard work

Il lavoro in queste ultime settimane mi sta prendendo molto e non riesco ad aggiornare il blog quanto vorrei.

Intanto godetevi quest'altro pezzo dei Klaxons - Gravity's Rainbow, chiaro omaggio a Thomas Pynchon - in un video da primissimi anni Ottanta che paga tributo alla New Wave acida pre-New Romantic e a quei pazzi da manicomio di The Fall in particolare.



A presto e... stay tuned.

28 mag 2007

Witchblue


Witchblue l'ho beccata almeno un lustro fa su un forum di discussione incentrato su tematiche orrorifiche.

Ora, non statemi a chiedere come ci fossi finito a lanciare assiduamente post su un sito esclusivamente incentrato su tematiche orrorifiche. Diciamo che era un periodo un po' così, che stavo incominciando a scoprire le potenzialità del web e che le iterazioni possibili mi affascinavano parecchio.

Tra il 2001 e il 2003 aprii contatti con parecchia gente. Con lo spirito naif del principiante mi attaccavo anche in furibonde discussioni-litigate con tizi che mi stavano sul cazzo senza che oggi sappia spiegare il perché.
Litigare con gente sconosciuta su Internet: in certi momenti della propria vita ci si può ritrovare veramente a cazzeggiare secondo modalità seriosissime e impensabili.

Witchblue era - allora come oggi - il nickname di Suanna. Ed era incazzata con l'universo intero. Si era appena mollata con un tizio poco affidabile e - da brava Gemelli - stava sclerando.

Dai post di Witchblue traspariva rabbia ma anche un sacco di passione, di energia.
Come un caterpillar risposi a un suo topic - nel quale lanciava lamentazioni sulla propria presunta condizione di gabbata dalla vita - prendendola praticamente per il culo.

Quella di Witchblue fu una reazione stizzita, ma poi - come avevo previsto - Suanna riuscì a contare fino a 10 e a comprendere i motivi per i quali la perculavo.

Quando entrammo in contatto telefonico, Witchblue aveva conosciuto un tale, Maurizio, col quale era uscita qualche volta senza, però, riuscire a imbastire una relazione serena che non fosse condizionata dalla sua precedente esperienza.

Maurizio, però, fu in gamba e lei lentamente - assecondando anche i bonari consigli da Donna Letizia di maestro Yoda-Di Nocera - riuscì a riprendere il sorriso e a conoscere di nuovo la felicità.

Oggi Witchblue e il Maury - che possiede nell'astigiano un'azienda vinicola della quale ho potuto apprezzare gli eccellenti prodotti - sono sposati e vivono come due piccioncini.

Oggi una grossa stampa prodotta dallo studio grafico di Susù adorna una parete del corridoio di casa mia.

E mi riempie di gioia il pensiero che una Streghetta Blu un giorno stringerà mia figlia non ancora nata tra le braccia.

26 mag 2007

V for Fumetto

Giovanni Agozzino è un valente redattore del magazine-portale on line Comicus.it, ma da anni è anche uno dei fondatori e collaboratori del sito di critica fumettistica
Prospettiva Globale, che ultimamente si è costituito come associazione culturale con l'obiettivo di promuovere il
fumetto come esploratore di se stesso, dei propri limiti e della propria storia(Giovanni sostiene che è qualcosa che va oltre la sperimentazione: in realtà Prospettiva Globale abbraccia qualsiasi cosa si spinga un po' più
in là delle regole canoniche dei comics ma che mantenga, al contempo, anche una forte connotazione narrativa e di intrattenimento, non solo roba per pseudo-intellettuali segaioli, insomma).

La prima azione di Prospettiva Globale è stata quella di organizzare - in collaborazione col comune di Vasto - una manifestazione - intitolata V for Fumetto - molto atipica (direttore Giovanni Russo), in cui
invece di una classica mostra-mercato (il mercato ci sarà, ma in quantità minima) si
allestisce un laboratorio "vivente" in cui autori e pubblico si possano confrontare
col fumetto, interagendo in divertenti esperimenti.

La manifestazione ha un sito, in cui già da
adesso vengono fornite le necessarie informazioni e attraverso il quale si potrà interagire con la
manifestazione (sabotando alcune vignette che vengono fornite giornalmente).

gli esperimenti di V for Fumetto saranno successivamente raccolti in un volume.

Per chi voglia partecipare al giochino online, al momento
si tratta di riempire dei balloons di vignette vuote, selezionate senza
continuità, che poi verranno rimontate e/o messe in sequenza nello stile
"variazioni sul tema" (cliccando qui troverete un esempio).


P.S.: Giovanni mi comunica anche che Prospettiva Globale

pubblicherà la fondamentale "Historia de la Historieta", storia del fumetto ispano-americano - che ha generato innumerevoli capolavori - redatta dagli sceneggiatori e studiosi argentini Carlos Trillo e Guillermo Saccomanno.

21 mag 2007

Lilia

A Trieste tutto bene. La mia conferenza è piaciuta, la sala del Caffé Tommaseo era abbastanza gremita e gli applausi finali mi sono sembrati intensi e sinceri.

E tra gli spettatori, una persona che ho conosciuto prima ancora di averla mai incontrata.

Lilia Ambrosi, assieme all'illustratore Lorenzo Mattotti - all'epoca suo compagno di vita - fu protagonista all'inizio degli anni Novanta di un piccolo caso letterario.
Fu infatti in quel periodo che vide la luce "L'uomo alla finestra", un vero e proprio romanzo grafico fatto di atmosfere rarefatte e minimaliste pubblicato da Feltrinelli. Un libro che in Italia è assente da molto tempo dagli scaffali ma che in Francia viene continuamente ristampato (è stato licenziato prima da Albin Michel e, più recentemente, da Casterman).

Lilia non solo ha collaborato con uno degli artisti più originali e sperimentali del mondo del fumetto italiano (andatevi a guardare anche i racconti da lei sceneggiati contenuti nel libro "Lettere da un tempo lontano", edito in Italia da Einaudi), ma si occupa anche di narrativa extra-fumettistica, traduzioni e recensioni (per il quotidiano "Il Piccolo" e per la sciccosa rivista d'arte prodotta dall'industria del Caffé Illy).

Io l'ho conosciuta qualche anno fa, in modo assolutamente casuale e inatteso, grazie alla comune conoscenza con mia cognata Marianna. Mi ritrovai a casa sua - dalle parti di Muggia, quasi al confine con la Slovenia - senza avere la minima idea di stare per incontrare una persona di cui una decina d'anni prima avevo letto le parole e intorno alla quale erano sorte tante discussioni negli ambienti del fumetto. A Lilia e a Lorenzo Mattotti, infatti, subito dopo l'uscita de "L'Uomo alla finestra" veniva reso il merito di aver contribuito a ridurre in Italia le differenze che separano tuttora i comics dalla cosiddetta letteratura alta.

Lilia è una donna dagli occhi sinceri e dal sorriso lunare, dotata di un sottile senso dell'umorismo e di spiccate capacità di osservazione.
Al Tommaseo ci è venuta con suo marito Fulvio, friulano verace dalla figura solida e con un volto d'altri tempi.
Alla fine della conferenza il complimento più bello l'ho ricevuto proprio
da lei quando alla domanda: "Che te ne è parso?", la risposta è stata: "Sei andato benissimo. Sicuro di te, hai esposto gli argomenti in modo fluido e - cosa fondamentale - con un'ottima proprietà di linguaggio."
Inutile dire che le sue parole mi hanno fatto sentire veramente bene. Ed è stato un onore dedicarle - nel bel mezzo di una grande mangiata di pizza - la sua copia del mio saggio: "19 maggio 2007. A Lilia, con ammirazione e amicizia."

16 mag 2007

Al Tommaseo di Trieste

Sabato sera alle 18.30 terrò una piccola conferenza a Trieste, nelle sale dello storico Caffé Tommaseo, leggendario locale - sito di fronte al Molo Audace - che ha fatto da cornice al concepimento stesso dell'Unità d'Italia.
L'incontro è inserito all'interno delle iniziative comprese nel calendario di FEST, la prima Fiera Internazionale dell'editoria scientifica che si terrà nel capoluogo friulano dal 17 al 20 maggio.

L'argomento del mio intervento deriva direttamente da "Supereroi e Superpoteri", il mio saggio sui supereroi americani.

Titolo: "E' un uccello? E' un aereo? No, è Superman! Supereroi tra fiction, realtà e letteratura.

Più specificatamente: "La nascita e lo sviluppo, in settant’anni di storia, del genere supereroistico all’interno del fumetto americano forniscono lo spunto per una trattazione che, a partire dagli anni Trenta e Quaranta, riflette sul modo in cui i comic book – come una novella cartina di tornasole – si sono rapportati allo zeitgeist di volta in volta dominante. Da Spiderman ai Fantastici 4, da Superman all’Incredibile Hulk, fin dalla nascita dei primi supereroi, gli sceneggiatori si sono ispirati alla scienza per disegnare i loro personaggi e dotarli di fantastici superpoteri. Nelle strisce degli anni Quaranta e in quelle di oggi si nascondono temi scientifici di grande interesse: realtà post-atomiche, biotecnologie e rischio nucleare diventano lo specchio di aspettative e timori della società nei confronti della scienza."

Gli incontri del Tommaseo - compresi negli eventi di Science Café - sono gestiti dall'Area Science Park e dalla SISSA, con la collaborazione di Casa della Musica e la direzione artistica dell'ottima Daniela Picoi.

Personalmente, sono felicissimo di poter tornare a Trieste, una città poco appariscente che, però, si apre ai luoghi più nascosti delle anime sensibili.
Ecco come la descrive - meravigliosamente - Umberto Saba:

Trieste

(da Trieste e una donna, 1910-12)

Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.

Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

Per chi vorrà esserci, ci si vede lì.

12 mag 2007

The saints are coming...

Il Meridione d'Italia non è devastato solo dalla presenza della malavita organizzata, ma anche da una fede religiosa che si aggrappa a un cattolicesimo ormai svuotato di qualsiasi significato, praticato quando serve e solo per mera superstizione.

C'è gente che non presenzia a una messa da anni, che del dettato evangelico non conosce nulla, che i comandamenti se li è scordati già all'epoca della prima comunione ma che, nonostante tutto, si ostina a far battezzare i figli, a cresimarsi e a sposarsi in chiesa. Solo perché sono cose "che si devono fare".

Inutile dire che i clan armati sguazzano nelle credenze e nell'idolatria. Ne traggono vantaggio, fa loro comodo.

A Castellammare di Stabia - in pieno 2007, all'inizio del nuovo millennio, nell'epoca di Internet e della globalizzazione - i tabernacoli, le statue sacre e le nicchie votive si moltipicano a ogni angolo di strada.
E dietro a ognuna di quelle icone si cela un gruppo di potere più o meno legale, più o meno organizzato.

Le effigi in scala 1:1 di Padre Pio te le ritrovi all'ingresso dei ristoranti (coi clienti che si fanno il segno della croce mentre entrano a mangiarsi una pizza), al centro delle isolette spartitraffico, nei larghi rionali.
Le madonne, invece, compaiono a fianco degli esercizi commerciali, decoratissime di lumini e di fiori, accudite da macellai e salumieri. Che le difendono coi coltelli.

Ci sarebbe da interrogarsi sulle concessioni edilizie fornite dal comune per agevolare tali pratiche devozionali. A quando, anzi, un censimento in tal senso con tanto di controllo sulle licenze di costruzione/edificazione?

Uno degli episodi più significativi si è comunque verificato circa un annetto e mezzo fa, quando una rosticceria/focacceria ha deciso di installare all'interno del negozio una statua della Madonna di Lourdes dal manto dorato.
Il proprietario dell'esercizio a un certo punto - spinto da non si sa quale fervore mistico - ha deciso di organizzare una processione ponendo alla testa del corteo il suddetto manufatto religioso.
La cosa ha generato le ire del funzionario di una delle parrocchie locali (nello specifico, quella che sovrintende al quartiere in cui si trova la rosticceria) che ha scagliato strali furibondi all'indirizzo dei proprietari della statua di Maria, accusandoli di essere dei camorristi. E così la processione non si è più tenuta.

La vicenda potrebbe far sorridere qualcuno, ma, al contrario, a me fa venire i brividi. Perché significa che - esattamente come accadeva nel Medioevo - le statue sono ridiventate accentratrici di potere. E che il culto fanatico è tornato a coincidere ormai con gli interessi economici o di prestigio dei singoli.

Mi si dirà che in tempi incerti la gente si aggrappa alla fede, ma qui si va oltre.
Oggi Padre Pio rappresenta l'equivalente mistico di un biglietto del Superenalotto (un immenso grazie a Luigi Bernardi per la definizione) e viene commercializzato come tale.
Oggi la statua di una madonna - investita di proprietà taumaturgiche e protettive - può prendere comodamente il posto della Legge umana.

Aumentano di nuovo le persone convinte che le azioni individuali - se non propiziate da inchini e a preghiere nei confronti di creature ultraterrene - sono soggette a sciagure e negatività.

E in tutto questo c'è qualcuno - qualcuno di assolutamente umano, qualcuno di molto furbo - che si gode potenza e gloria.



Le immagini sono tratte da artcurel.it, chiesadeidolori.it e cofanifunebri.it


2 mag 2007

Miti di un prossimo futuro

I Klaxons rappresentano il mio personale enigma musicale di questi mesi.

Li ho scoperti su MTV: Brand New e li ho subito adorati per questo pezzo, Golden Skans, che rimanda all'estetica della new wave anni Ottanta miscelata al glittering dei last days of disco: in pratica, come se gli Imaginations di Illusion e gli ultimi Jacksons 5 impattassero in un frontale mortale contro Echo and the Bunnymen e gli Ultravox:



Se si considera poi che il loro CD s'intitola "Myths of the near future" come una delle prime raccolte di racconti di James G. Ballard, vi renderete conto dei molteplici motivi di interesse che ho incominciato a nutrire nei loro confronti.

La "questione" nasce dal fatto che ho scoperto che i Klaxons - una band di fatto ascrivibile all'area del post-punk - sono anche attori e interpreti di Magick, una delle canzoni/video più terrorizzanti/disturbanti che abbia mai visto/ascoltato in vita mia. Roba che gli Aphex Twins al confronto ci fanno la figura dei Cugini di Campagna:



A imprigionarmi ancora di più nella mia perplessità è poi intervenuto l'ascolto di "Atlantis to Interzone" - stordente aggancio tra Platone e William Burroughs - che trovo al contempo fastidioso e irresistibile (il riff d'attacco con quel "DJ!!" urlato all'inizio è quasi un meme che ti resta attaccato nel cervello alla stregua del falsetto di "Golden Skans"):



Inutile dire che adoro queste sollecitazioni contrastanti, questo bilico delle sensazioni e che i Klaxons per me costituiscono davvero - oltre che un rompicapo di gusto e tendenza - una delle più belle scoperte sonore del 2007.

25 apr 2007

Luce radente

Anche il posto più squallido del mondo può riflettere sentimenti sublimi e magia.

Quando penso a una vita perfetta, penso a una passeggiata domenicale lungo una strada di periferia dominata da anonime palazzine proletarie, nell'ora del tramonto, quando la luce radente del sole dona vibrazioni musicali anche ai bidoni della spazzatura.



Loro sono i Massive Attack - gruppo di Bristol che ha condizionato le tendenze sonore dello scorso decennio. La canzone - Unfinished Sympathy - è una delle più connotative degli anni Novanta. Il video invece è uno dei più belli di ogni tempo: un unico piano sequenza a simboleggiare l'assurda, orribile, meravigliosa esistenza umana. Il poeta crepuscolare Guido Gozzano l'avrebbe adorato alla follia.
Godetevelo.

21 apr 2007

Happy hour post-industriale

Un tardo pomeriggio assolato, delle palme, il caldo, un paesaggio dominato da una fabbrica cadente o da una serie di padiglioni industriali in disuso, un cafè costruito in riva al mare all'interno di una tensostruttura in alluminio anodizzato, figure geometriche squadrate e futuristiche (come al ristorante Georges, sul roof del Centre Pompidou a Parigi), vetrate, persone anoressiche e silenziose sedute a tavolini metallici che bevono long drinks analcolici ghiacciati, aria condizionata, l'ozono che urla di dolore.

L'aperitivo ideale, definitivo, con una leggera musica di sottofondo, come questa:



Loro sono gli Zoot Woman, autori di un pop sintetico ed evanescente, lounge fino allo sfinimento. Potreste ascoltarli su un volo Air France mentre una gentile hostess con indosso un tailleur blu vi mostra - rivolgendovi uno stupendo sorriso plastificato - la vostra poltroncina accanto al finestrino.

16 apr 2007

In Utero


No, si rassegnino i fan dei Nirvana: trattasi di titolo civetta per parlare d'altro.

Il mese di aprile coincide da sempre col mio nadir psicofisico annuale. E' un momento strano, di totale mancanza di sincronizzazione col resto del mondo.

Ad aprile tutti i miei fantasmi, i miei fallimenti, le mie cose non riuscite, le mie strade perdute, mi si affastellano nell'anima e nel cervello e - condensandosi in un'unica spugnetta abrasiva - cancellano dalla mia memoria tutte le (molte) cose filate invece per il verso giusto e positive che hanno contraddistinto la mia vita.

Ad aprile penso spesso a una mia ipotetica vita lontano da Castellammare, a quello che avrei potuto raggiungere lontano da qui. Un interrogativo che mi percuote le meningi esattamente per un mese.

Poi, una volta iniziata la "trentina" di maggio, resetto in qualche modo la mia condizione esistenziale e penso che mai e poi mai me ne sarei potuto andare da questo posto.

La "colpa"? La colpa è del mare, di questa inquieta distesa di acqua salata che mi mantiene in un latente stato di ipnosi.

E' difficile abbandonare il mare. E' difficile abbandonare il sud, le sue temperature, la sua indolenza.
In Sud corrisponde a un tempo immobile, a una vita che procede languida in un'atmosfera di calore e di dramma.

Non è un caso che il mio scrittore preferito sia James G. Ballard.
Chi ha letto il suo ciclo di racconti ambientato nella fittizia cittadina di Vermilion Sands, comprenderà perfettamente ciò che adesso sto cercando di descrivere.

Vermilion Sands è il corrispettivo di una deriva umana, dove il tempo è arenato e la vita procede nell'alienazione dei pensieri e dei sensi. E' un universo artistico dove la bellezza coincide con le debolezze psicanalitiche e improvvise esplosioni di follia e tragedia.



A Vermilion Sands tutto sembra condensarsi in un tardo pomeriggio estivo, precluso a ogni attività, ovattato, circoscritto da una cappa di calore, sabbia e polvere.

Impossibile resistere a un luogo del genere. Impossibile pensare di andare altrove, di sfuggire a questa dolce, sottile angoscia che ti attanaglia.

La sabbia e il mare, le mura bianche calcinate dal sole e la violenza repressa di un popolo che gira all'infinito intorno alle sue psicopoatologie. Il fascino di un mondo alieno che rifiuta efficienza, razionalità, linee rette.

Il mare come l'utero al quale tutti quanti, incosciamente, vorremmo ritornare.
La spiaggia e la sabbia per seppellirci i nostri desideri fallaci.
La violenza per ricordarci che la civiltà è una conquista aleatoria.

11 apr 2007

Come ti muovi, così sbagli

Il serial televisivo 24 è straordinario per motivi che a volte non è facile sviscerare.

Ciò che immediatamente salta all’occhio dello spettatore più smaliziato è l’ottimizzazione dei più abusati luoghi comuni dell’avventura seriale: decenni di narrativa d’appendice raffinata e sintetizzata per il nuovo secolo.

C’è, poi, l’addensamento vorticoso del tempo e dello spazio che ben coglie la velocità e le urgenze di un’epoca segnata e – per certi versi – devastata dallo spettacolo e dall’informazione in real time.

C’è un gran lavoro di sceneggiatura, una conoscenza spaventosa delle regole sintattiche televisive e cinematografiche, interpretazioni mai sopra le righe in sequenze quasi sempre sopra le righe, una soundtrack che – con l’evolversi delle stagioni – diventa sempre più presente e incalzante.

Ma ci sono anche cose situate talmente in primo piano da apparire di fatto – e a torto – defilate, marginali.

Il cicalio del sistema di comunicazione interno al CTU, per esempio, che segna le iterazioni e i cambi di mano di un gruppo che non agisce per niente come un’unità antiterrorismo ma piuttosto come una mega-ditta impegnata a resistere al tentativo di acquisizione ostile da parte di una qualche aggressiva multinazionale.


In 24 non esistono agenti segreti, ma è presente l’intero universo dei colletti bianchi trasportato in una dimensione spionistica, votata all’azione, che si riconosce in un unico eroe.

I veri interlocutori dell’eroico Jack Bauer sono gli impiegati di banca, gli addetti agli sportelli degli uffici postali, i segretari amministrativi dei plessi scolastici. E la finalizzazione dell’impresa passa attraverso la trafila delle dinamiche aziendali occulte e palesi: carrierismo, ambizioni personali, correttezza e/o scorrettezza professionale, invidie, gelosie, ripicche, equivoci, scambi di favori, nevrosi, fedeltà e/o infedeltà, doppi giochi, errori, successi, sacrifici, ecc.

In 24 i fantasmi del World Trade Center e l’esercito infinito di persone che combattono ogni giorno la quotidianità e le paure contemporanee, si ritrovano in una spettacolare epifania, in una rappresentazione catartica che riesce a recuperare anche quella che è una profonda caratteristica delle tragedie greche rielaborata in salsa popular, ovvero: come ti muovi, così sbagli.

Non esiste azione positiva alla quale non corrisponda immediatamente una conseguenza negativa.

Devi impedire il rilascio di un virus nel centro di Los Angeles? Ti tocca sparare in testa a un collega, giustiziandolo.

Devi salvare la vita a qualcuno? Automaticamente ti fai sfuggire dalle mani un terrorista che se ne va ad ammazzare centinaia di persone.

Sventi un complotto governativo? Perdi la donna che ami.

Devi salvaguardare a tutti i costi la custodia di un prigioniero? Un tuo amico ci rimette la pelle.

Ti fidi di una persona? Prima o poi ti tradirà e/o morirà e/o sarà costretta a operare contro di te.

Vieni a capo di una minaccia? E’ la punta di un iceberg che rinvia a una minaccia ancora più elevata.

Sei un eroe? Ti martirizzano e ti bistrattano come se fossi Cristo in croce.

24 non appare, quindi, come un semplice telefilm: è la cristallizazione di uno zeitgeist, la messa in scena drammatizzata dello scacco esistenziale che domina i nostri tempi: ogni scelta è possibile, nessuna scelta è giusta. Esistenzialismo sartriano allo stato brado.

E’ la logica che informa anche una delle saghe cinematografiche di maggior successo dell’ultimo lustro, quella di Saw – l’enigmista, dove la possibilità di scegliere il proprio destino costituisce sempre e comunque l’anticamera di un orrore indicibile, spettro di un’impasse epocale, di un’ansia schiacciante, di un tremore globalizzato.

E’ questa inquietudine generalizzata ha saputo ben coglierla – come al solito – anche il mondo della pubblicità.
Ci avete fatto caso? I messaggi pubblicitari non sono più “a senso unico”, non veicolano più dati di fatto, non ti guidano lungo la strada maestra.
Il prodotto non è il fine del messaggio, ma il brand esclusivo che ti accompagna in un mare infinito di scelte, giuste o sbagliate che siano (più sbagliate che giuste).

La Mini guidata dal genio Eugenio non risolve la tua vita, ma ti traghetta in un mondo di azioni pazze e insondabili, tragiche e divertenti insieme.


La birra Beck's non è il tuo feticcio, ma una bevanda che ti segue nella vita che ti stai creando rendendola magari piacevole pur senza influire su di essa.

Perché alla fin fine – come affermerebbero i comici Greg e Lillo – sono proprio, sempre, solo e soltanto cazzi tuoi.

La vignetta iniziale è tratta dal sito serialtv.it

4 apr 2007

la faccia scoppiata


A Napoli continuano a volare pallottole e i corpi cadono pesanti sull’asfalto delle strade come sacchetti di segatura. Ieri un altro morto e un altro ferito grave nel bel mezzo del Rione Traiano, zona nord-occidentale della città.
Il racconto che segue è stato pubblicato il 29 ottobre 2006 sulle pagine de “la Repubblica” (edizione napoletana). Prende il via nel Vasto, popoloso quartiere che guarda a est del capoluogo campano.
E’ il primo di una serie corale – scrittura in prima persona, protagonisti partenopei di varia estrazione e moralità – i cui tasselli vedranno la luce piano piano, col tempo. Si tratta di uno studio sul linguaggio dialettale, sui sistemi di valori dominanti dalle mie parti e sulle trame brevi e immediate.
Leggete e fatemi sapere.


La faccia scoppiata


A Peppe Ferrandino e a Luigi Bernardi


Innanzitutto la cosa più bella sono state le due tirate di cocaina a gratis. Veramente la guerra. Mai visto che uno viene vicino a te e ti dice: tiè, pigliatene quanta ne vuoi tu.
Lo so, lo so che non lo fanno per senza niente, che ti credi? Loro ti vogliono tipo Lavezzi in mezzo al campo di pallone. Ti vogliono scattoso, che devi pensare chiaro. Ma che vuoi? A me è piaciuto e siccome non era stato messo nel conto, per me è stato a gratis.
Io e Gigio siamo scesi da sopra casa di mamma sua tutti eccitati che pareva che dovevamo andare a Licola a ballare. Non ci pensavamo proprio che dentro al marsupio ci avevamo le pistole e che stavamo per andare a fottere l’infamone che ci ha detto Maradona, la persona di fiducia di chi sai tu (hai capito chi, no?). Io mi pensavo che mi cacavo sotto, ma invece è andato tutto come doveva andare.
Ci siamo messi i caschi, siamo saliti sulla Vespa che Mimì si era rubato apposta per noi (si è messo dentro alla sacca una bella carta di duecento euro pure lui, che ti pensi?) e siamo andati per dentro il Vasto a vedere se l’infamone ci stava.
Io, a dire la verità, non lo so l’infamone in che cosa aveva sgarrato. Io so solo che quando la persona capisci-a-me dice che uno è infame, è questione chiusa: deve essere infame per forza. E comunque pure a me l’infamone mi è sempre stato sulla capocchia del pesce: me lo ricordo davanti al suo negozio di chianchiere fino da quando tenevo tre anni. E mano a mano che diventavo grande ha incominciato che mi guardava con una faccia schifata e superbiosa. Quella di chi si crede meglio di te perché ha fatto i soldi mentre tu tieni la famiglia terremotata e il padre rinchiuso dentro a Poggioreale. Quella di chi si crede che puoi entrare dentro al suo negozio da merdaiolo per affogarti un pezzo di lacerto di nascosto e perciò ti tiene mente.
Tienimi mente adesso, lutamma.
Lui se ne stava fermo all’entrata della chianchieria con addosso il camice pieno di macchie sozzose e si stava fumando una sigaretta. Mi ricordo che una volta le bestie squartate le teneva appese pure fuori al magazzino. Poi è iniziato che non le teneva nemmeno dentro ai banchi frigorifero. E se ci entrava un cliente ogni mezz’ora era pure assai. Si vede che prestava i soldi con l’interesse, quella monnezza. E di sicuro teneva qualche intrallazzo con chi non doveva.
Si credeva di essere un padreterno mentre fumava là fuori. Io e Gigio ci siamo fatti due volte il giro col mezzo per vedere se era cosa, gli siamo passati per davanti due o tre volte e lui neppure ci ha guardati. Invece buttava l’occhio sul culo sceso di una mezza baiorda che camminava sul marciapiede. Lui si faceva il film di metterlo là, e intanto glielo stavo per impizzare io in quel posto.
Sono sceso dalla Vespa dietro a un angolo, a dieci metri da dove stava lui e mi sono avviato svelto, rasente rasente al muro. Il casco non me lo sono levato, la pistola invece l’ho tirata fuori e me la sono nascosta dietro alla schiena. Gli sono andato vicino vicino per non sbagliare e gli ho puntato il ferro a manco mezzo braccio dalla testa senza che lui se ne accorgeva nemmeno.
A quel punto però è successa una cosa strana che io penso che era colpa della cocaina tagliata troppo pura. Penso che era tutta immaginazione mia. E’ successo che lui si è girato verso di me e che la faccia non era più la sua. Era la faccia mia. E poi si è cambiata nella faccia di mio padre. E poi di nuovo nella faccia mia.
Sono uscito pazzo dall’arraggia. Che sfaccimma tenevamo da spartire io e mio padre con l’infamone? Mio padre ha dovuto spantecare una vita sana, si è fatto la gabbia per cinque anni e non ha avuto niente. E’ solo finito sotto terra per via di un mammone dentro al fegato. E io non voglio fare la sua fine.
Per levare di mezzo l’infamone, a me e a Gigio hanno dato ottocento euro ciascuno e questi ottocento euro, per me, sono l’inizio di una vita diversa. Perché a Licola a ballare ci voglio andare col macchinone e non coi soldi contati. Perché le belle femmine che ti fanno i servizi di bocca si pigliano solo se gli allunghi la moneta. Perché io voglio essere un personaggio e non uno che puoi buttare quando pare e piace a te.
Tutte queste cose mi sono passate in fronte in un secondo solo. Ho strillato, ho tirato il grilletto, si è sentito il botto e ho visto la faccia mia e di mio padre che scoppiava in una nuvola nera e rossa. Poi ho sentito subito le allucche che venivano da dentro il negozio. Era un guaglione che poteva essere il figlio dell’infamone, ma pure lui teneva la stessa faccia mia: tale e quale, identica. Ho sparato addosso pure a lui, ma non lo so se l’ho pigliato. Forse sì, ma qui non teniamo il televisore e neppure il telefono. Perciò non ti posso dire proprio niente.
Comunque, prima che mi giravo e che mi mettevo a correre, ho buttato un altro paio di palle dentro all’infamone che stava a terra schiumato di sangue. Tutt’attorno a me ci stava il fuggi fuggi, però io mi pareva di tenere l’ovatta dentro alle orecchie. Era tutto come da lontano.
Gigio ha fatto una sgommata dall’altra parte della strada e ha pigliato a suonare il clacson. Quando gli sono salito dietro mi pareva di aver volato. Non vedevo più niente. Davanti a me tenevo solo la faccia mia e di mio padre che scoppiavano. Non quella dell’infamone: quella mia e di mio padre.
Gigio in mezzo al traffico mi pareva Valentino Rossi. Quando siamo arrivati all’appuntamento, in una piazzola sopra a Mater Dei, c’era la macchina che ci aspettava così come eravamo rimasti d’accordo con Maradona. Quando mi sono tolto il casco mi è venuta una cosa di stomaco e mi sono messo a vomitare tutto quello che tenevo nella pancia. Maradona mi ha dato delle mazzate dietro alle spalle e mi diceva che era un fatto normale. Gigio pertramente si fumava una sigaretta. Per fortuna che quando mi sono seduto sul sediolino di dietro stavo già bene. Di mettermi a sorchiare non se ne parlava nemmeno, però sono riuscito a chiudere gli occhi e a non pensare a niente più.
Quello che guidava la macchina ci ha portati da una parte in campagna, in mezzo alle piante di pummarole. Ci stava una casa di coloni deserta. La comanda era quella di stare lì, che dovevamo aspettare tranquilli qualche giorno. Dentro ci abbiamo trovato giusto quello che serviva: una buattella di caffè con la macchinetta, una cascetta di bottiglie d’acqua, due di vino e un poco di roba in scatola. Poi ci stavano due materassi per dormire messi a terra, e sopra al tavolo, le bustine di eroina che avevamo cercato a Maradona prima che andavamo ad ammazzare l’infamone. E ci stavano pure le siringhe. Non si erano scordati di niente.

Ci siamo scarfati una tazza di caffè e poi ci siamo stesi sopra ai materassi, svegli ma senza che parlavamo. Solo noi coi cacchi nostri per il cervello. Poi quando si è fatta una certa ora ci siamo calati la bummazza. Si sentiva che era prima qualità.
Non ti so dire per quanto tempo ho pariato da sveglio e poi quando mi sono addormentato e ho incominciato a fare sogni. Mi ricordo solo che a un certo punto ho visto padre Pio e il diavolo che si prendevano a pugni e paccheri davanti a me e a mia mamma per sapere chi si doveva pigliare il mio spirito e spedirlo o all’inferno o al paradiso. Mamma piangeva e io ridevo perché erano comici mentre si mazziavano. E poi mica ero morto ancora.
Mi sono svegliato che stava il sole di primo mattino (o almeno così mi pareva) che entrava dalla finestra. Gigio stava ancora che dormiva pesante. Io mi sono alzato, sono andato nella latrina che stava nell’altra camera, ho pisciato e ho fatto la cacca. E mentre che stavo là, pensavo che mi ero sognato proprio una stronzata: che i santi non si mettono a perdere tempo con noi, se no stavamo tutti quanti bene e Napoli era un’altra cosa, no? Se vuoi stare bene devi fare da solo e basta.
Quando ho finito, sono andato vicino alla finestra e mi sono appicciato una sigaretta mentre che guardavo fuori. Da lontano si vedevano una sacco di gente negra che raccoglievano le pummarole e si chiamavano coi gridi. Ho pensato che erano dei poveracci e che io invece tra un poco mi compravo il macchinone e me ne uscivo con certe guaglione che non si vedevano nemmeno a Miss Italia.
Poi però per un momento mi è sembrato che giravano tutti quanti la testa dalla parte mia. Ed erano tutti quanti tali e quali a me e a mio padre. Tenevano tutti quanti la faccia mia e quella di mio padre. Ma è stato solo per un momento. Ho pensato che era la polpetta che faceva ancora effetto. Io e mio padre buonanima non abbiamo mai tenuto niente da spartire con quelli. E quando ho finito la sigaretta, me ne sono andato a coricarmi un altro poco. E mi sono scordato di tutto.

3 apr 2007

Il fascista che è in me


Il fascista che è in me non sopporta “Parla con Me”, Serena Dandini, Dario Vergassola e la Banda Osiris

Il fascista che è in me detesta Emir Kusturica e Goran Bregovic.

Il fascista che è in me si tiene a distanza dalle musiche di Vinicio Capossela.

Il fascista che è in me prenderebbe a calci gli zingari adulti che mandano i loro bambini a chiedere la questua con fare supplicante. E prenderebbe a calci anche i bambini.

Il fascista che è in me pensa che una persona perbene non avrebbe nessun timore a essere intercettata telefonicamente o fotografata per strada se non ha nulla da nascondere.

Il fascista che è in me pensa che a comportarti bene, ti tieni lontano da ogni guaio.

Il fascista che è in me pensa che chi non trova lavoro, in realtà non vuole trovarlo.

Il fascista che è in me pensa che la democrazia non dovrebbe consentire la libertà di parola anche agli idioti. E a chi chiede al fascista che è in me: “Chi sono gli idioti?” lui risponde: “Sempre gli altri.”

Il fascista che è in me ha letteralmente adorato il film “300” di Zack Snyder e Frank Miller.

Il fascista che è in me fa il tifo per le forze dell’ordine.

Il fascista che è in me si immedesima nei personaggi di Tom Clancy e quando legge delle macchinazioni della CIA vorrebbe averle concepite lui.

Il fascista che è in me consentirebbe per legge agli insegnanti di tirare sganassoni agli alunni. E di infliggere loro punizioni corporali.

Il fascista che è in me si è convinto che Micheal Crichton nel suo romanzo "Stato di Paura" affermi delle sacrosante verità.

Il fascista che è in me rispetta i codici e teme le sanzioni.

Il fascista che è in me parteggia sia per gli imprenditori che per gli operai.

Il fascista che è in me ritiene che mafiosi e camorristi conclamati dovrebbero essere giudicati sommariamente e quindi giustiziati sulla pubblica piazza con un colpo di pistola alla nuca.

Il fascista che è in me passerebbe spesso e volentieri alle vie di fatto.

Lo tengo a bada il fascista che è in me.
E lui mi fissa guascone dal centro della cella in cui è rinchiuso così come fa Anthony Hopkins con Clarice Starling nella versione cinematografica de “Il Silenzio degli Innocenti”.
Sogna di uscire, ma io non posso consentirlo.
Lo ascolto però.
E la sua voce mi fa capire meglio tante cose.


31 mar 2007

Come in una morgue

C’è stato un momento della mia vita in cui leggevo di tutto con una furia inconsulta.
E a chi mi chiedeva – con tono un tono tra l’ironico e lo stupito – che cosa ci facessi sempre con un libro in mano, ero solito rispondere: “Mi piace trascorrere il tempo con persone che hanno cose interessanti da dirmi.”
Una frase fatta che mi piaceva – e che mi piace ancora – molto ma che forse non rappresenta che una sola chiave di lettura (è proprio il caso di dirlo) di un puzzle molto più complesso.

Sto cercando di mettere ordine nella mia sterminata raccolta di libri e di fumetti.
I libri li ricolloco sugli scaffali seguendo un vago ordine di nomi, generi e collane.
I fumetti, invece, li vado a ripescare da ogni dove (scaffali, armadi, scrivanie, cantine) rivedendoli per numerazioni seriali, discutibili gusti personali e/o importanza oggettiva nella storia del medium. Lo scopo che mi prefiggo per questi ultimi è quello di catalogarli mantenendo a portata di mano e di consultazione quelli “importanti” e incellofanando per la prima volta tutto il resto.

Non ho mai incellofanato niente in vita mia, ritenendo inizialmente che la carta fosse eterna e che la sua deperibilità nel corso degli anni fosse una favola.
Ebbene, la carta deperisce e la sua consunzione rappresenta un dato di fatto in quasi ogni microclima.
Un grado d’umidità anche di poco eccessivo la fa puzzare di muffa e la picchetta di macchioline giallastre, un ambiente caldo e secco la fa incartapecorire, una combinazione dei due fattori (a seguito di insondabili modifiche nell’ambiente) genera effetti imprevedibili.
Rimestando tra vari titoli, mi sono ritrovato una manciata di numeri di “Fantastici Quattro” e de “L’Uomo Ragno” (rispettivamente edizioni Star Comics e Marvel Italia) con il margine superiore parzialmente rovinato dal contatto con una striscia di cartone resa umida, a sua volta, dal contatto con una parete impregnata da una perdita d’acqua filtrata da un adiacente locale allagatosi a mia insaputa (il periodo è volutamente involuto e arzigogolato).

Qualche numero di qualche serie (anche di valore) risulta “disperso” tra montagne di altro materiale e ci vorrà una vita per tirarlo fuori.

Una copia de Il Gioco di Manara firmata dall’autore con il disegnino di un volto femminile e dato come “al sicuro” sulle mensole della mia vecchia camera da letto, l’ho invece ritrovata ridotta a un unico strato di cartoncino compensato. Era appoggiata a una parete tappezzata ma sotto c’era un calorifero e così la combinazione “fresco del muro-caldo del termosifone-pressione di altri volumi adiacenti” ha compresso le pagine del libro fino a renderle un’unica poltiglia.
L’ho gettato nell’immondizia e ne ho rintracciato un esemplare analogo (Edizioni Totem Comics) su eBay, nell’attesa di re-incontrare Manara – cosa non impossibile – per farmelo re-autografare e “sketchiare”.

Alcuni inserti rilegati di “Lanciostory” e “Skorpio”, poi, si sono “arrugginiti” un po’ – in questo caso, non riesco a spiegarmene il motivo – sulle copertine e sui bordi delle pagine più “esterne” (le prime e le ultime).

In compenso Le Falangi dell’Ordine Nero con dedica e disegno di Bilal era integro. Così come “La Marvel-Storia dei Supereroi” resa unica dalle firme di Stan Lee, John Buscema e Tom De Falco (nell’anno di grazia 1988). E pure un sacco di altra roba.

Penserete che possa essere, in qualche modo, triste o angosciato per queste “macabre scoperte” e che le incellofanature che mi accingo a effettuare siano una difesa a posteriori e in ritardo.
Nient’affatto: a un certo punto della mia esistenza ho incominciato a pensare che tutte quelle montagne di carta scritta e/o disegnata che noi appassionati di letture e di storie disegnate ci ostiniamo ad accumulare… costituiscano il segnale di un disagio, di una nevrosi.
Vedo nelle librerie e (soprattutto) nelle fumetterie gente che si liscia e si lustra i volumi e gli albi controllando la loro ASSOLUTA integrità prima dell’acquisto e mi viene da compiangerli. Così come oggi “compiango” una parte di me stesso che so di avere ancora dentro di me, pronta a balzare fuori.

Ho trovato una bella offerta su eBay: i primi cinquanta numeri di “Fantastici Quattro” delle edizioni Star Comics. Ce li avevo già – li devo solo prendere e mettere in ordine – ma per sicurezza me li sono ricomprati, certo di poterli rivendere in futuro a un prezzo più alto, una volta sinceratomi che i vecchi giornalini in mio possesso siano a posto.
C’è pubblicata della bella roba su quei numeri: “Fantastic Four” di Byrne, il “Daredevil” di Miller e di Ann Nocenti, l’Hulk di Peter David, qualche mio articolo sui personaggi Marvel.
Volevo essere certo di POSSEDERE ancora quelle storie che non rileggo da un sacco di anni.
Quando il pacco col nuovo acquisto mi è arrivato, ogni singola copia era PERFETTA, coi primi tre numeri ancora blisterati assieme agli adesivi e i restanti accuratamente imbustati uno per uno (grazie, Mariarosa…).

Me li sono guardati e rigirati senza aprirli e ho cercato di recuperare quella sensazione che provavo mentre li leggevo per la prima volta o quando sfogliavo quelle pagine con l’emozione di ritrovare lì le mie parole, il mio nome accanto alle storie di quegli autori eccezionali.

Non ho sentito niente: quei giornaletti wrapped in plastic mi sono sembrati come usciti da una morgue, il tentativo di sfuggire alla morte attraverso la mania del collezionismo. La proiezione di un desiderio, un mantra affannato: “imbusto tutto perché così dura, proteggo tutto per sfidare il tempo, catalogo per ingannare la data che mi separa dalla morte.”

Negli anni sto dando la caccia alle mie nevrosi, le sto braccando, sto cercando di stanarle. A volte le chiudo in un angolo, altre volte sono loro ad aggredirmi alle spalle.

Voglio ancora fare ordine tra le mie montagne di carta. Ma solo per razionalizzare spazi, per convivere bene con le memorie che hanno contribuito a formarmi. Non per salvaguardare qualcosa in eterno.

Il mio trionfo consisterebbe nello gettare via tutto, lo so. Ma per quello c’è tempo e se non riuscirò a farlo io, prima o poi qualcun altro lo farà.

Solo le leggi dell’entropia riescono a donare tanto conforto.

30 mar 2007

Ho scelto l'oscurità...

Dopo molti ripensamenti e qualche prova, ecco i miei deliri online.

Mi sembrava giusto accogliervi con una canzone che, in qualche modo, rappresenta una sintesi tra il mio passato e il mio presente.

Il gruppo ha un nome che è tutto un programma - I love you but I've chosen darkness - e il pezzo s'intitola According to plan.



Il motivo della scelta? Beh... oggi mi farebbe un po' specie camminare ancora nella villa comunale di Castellammare Di Stabia, sotto la pioggia, davanti al mare in burrasca, a guardare il Vesuvio percorso dalle brume mentre ascolto i Cure col vecchio, caro walkman.

Direi di più: oggi quando mi capita di ascoltare i Cure, mi sembra davvero di effettuare un tuffo perverso e inutile in un'adolescenza che non rimpiango affatto.

Questo gruppo invece rimodula tutto e mi permette ancora di concedermi ad atmosfere dark senza correre il rischio di apparire ridicolo e nostalgico (o un ridicolo nostalgico).

Buon ascolto.