16 nov 2013

"Before Watchmen": una riflessione

È stato uno degli “argomenti caldi” a cavallo tra il 2012 e il 2013: l’opportunità o meno da parte della DC Comics di porre mano sull’universo di Watchmen per inaugurare un’ampia serie di iniziative editoriali incentrate sui protagonisti del capolavoro realizzato da Alan Moore e Dave Gibbons nel 1986.

Una questione interessante che ha visto letteralmente collidere ben tre universi: quello personale di Alan Moore, ormai da decenni in lotta contro la dirigenza della major newyorchese, le sue politiche commerciali e il suo presunto disinteresse nei confronti dei diritti degli autori. Quello, poi, degli strenui difensori della dimensione considerata ormai “sacrale” di un’opera come Watchmen, assurta – con l’imprimatur dei benemeriti e coltissimi critici letterari della rivista “Time” – a perla romanzesca del Novecento. E, infine, quello dei curiosi, dei “possibilisti” e – ovviamente – degli alti vertici della DC Comics, convinti che una nuova incursione nei territori narrativi creati da Moore e Gibbons non sarebbe andata a intaccare l’essenza e il valore del lavoro originario, ma, al contrario, avrebbe contribuito a rinvigorirlo e a celebrarlo.

I motivi del contendere si basano comunque su un’ambiguità di fondo: che cos’è Watchmen, un fumetto seriale o un cosiddetto “graphic novel” d’autore? La risposta è: entrambe le cose. L’idea-base di Watchmen nacque, infatti, all’indomani dell’acquisizione da parte della DC Comics dei classici personaggi supereroistici di un’altra casa editrice, la Charlton, nota per le simpatie destrorse dei suoi proprietari. I protagonisti della storia avrebbero quindi dovuto essere characters pre-esistenti come Capitan Atom, Blue Beetle, The Question, Peacemaker, Nightshade e Thunderbolt, ma esigenze di opportunità commerciale – giustamente dettate dalla constatazione che dopo una storia crepuscolare e definitiva come Watchmen quei personaggi sarebbero, in seguito, risultati inutilizzabili – fecero sì che Moore e Gibbons, su richiesta degli editor della DC Comics, optassero per la creazione di figure del tutto nuove, sebbene dotate di caratteristiche simili.

Watchmen fu concepito, pertanto, originariamente come prodotto seriale (venne pubblicato, infatti, come maxiserie di dodici numeri e soltanto dopo riproposto nel formato trade paperback) volto a tutelare e a far fruttare un investimento finanziario e creativo della DC Comics. La dimensione “artistica” dell’opera è emersa solo successivamente, grazie agli exploit della critica e all’oggettiva constatazione che un’operazione del genere non era mai stata tentata prima (perlomeno non con queste modalità tecnico-narrative).

Da lì, la vexata quaestio che affonda una parte delle sue radici anche nel tacito patto instauratosi tra Moore e la DC Comics di non fornire “appendici” – quindi né sequel, né prequel – a Watchmen. Un patto destinato a essere “tradito” dalla recente mossa commerciale del colosso editoriale americano: il lancio in grande stile di un’intera linea di miniserie e one-shot (Silk Spectre di Darwyn Cooke e Amanda Conner; Il Comico di Brian Azzarello e J.G. Jones; Ozymandias di Len Wein e Jae Lee; Nite Owl di J. M. Straczynski e Andy & Joe Kubert; Rorschach di Brian Azzarello e Lee Bermejo; Dottor Manhattan di J.M. Straczynski e Adam Hughes; Minutemen di Darwyn Cooke; Moloch di J.M. Straczynski e Eduardo Risso; Dollar Bill di Len Wein e Steve Rude; Il Corsaro Cremisi di Len Wein e John Higgins) pubblicata sotto il logo-ombrello Before Watchmen e realizzata da alcune tra le firme più importanti del fumetto mainstream d’oltreoceano.

Si tratta di lavori qualitativamente più che apprezzabili, non di rado intriganti (la RW Lion, partner italiano della DC Comics, li ha proposti nel nostro Paese dapprima sotto forma di comic-books, così come avvenuto negli USA, mentre adesso sta per raccoglierli in volumi) che, tuttavia, hanno suscitato perplessità pure tra coloro che non avevano accolto l’operazione con aprioristico scetticismo. Il motivo? In generale perché queste miniserie, pur scavando per bene nel background dei personaggi di Watchmen, non aggiungerebbero nulla di davvero nuovo e indispensabile a quanto già presente nella storia originale di Moore e Gibbons.

Il problema andrebbe, però, secondo me affrontato da un altro punto di vista. Ferma restando la sua importanza epocale e il suo status di capolavoro nel contesto della narrativa anglosassone, Watchmen (che la RW Lion ha ristampato anche in questo caso sotto forma di albetti singoli proprio in concomitanza con l'uscita dei vari prequel) rimane comunque una storia supereroistica nata in seno a un’industria che su questo genere popolare basa gran parte del proprio fatturato. Watchmen, insomma, è anche – e in questo risiede parte della sua grandezza – un fumetto commerciale che trae le sue strategie narrative dal cuore stesso delle esigenze di marketing. E, in quanto tale – ancor più di quanto possa accadere a un classico letterario – è un’opera che se non vivificata nel tempo, è destinata a morire.

Già, non dimentichiamoci che la prima edizione di Watchmen  risale a ben 28 anni fa – più di un quarto di secolo – che, nel tempo compresso che siamo abituati a vivere, equivale più o meno a un’intera era geologica. Ed è un’opera che, pur nella sua esemplarità, risente del clima culturale e politico nella quale è nata (la Guerra Fredda, il reaganismo e il thatcherismo, ecc.). E che oggi rappresenta solo un vago ricordo per almeno due giovani generazioni: quella degli attuali trentenni e quella dei nuovi adolescenti. Individui che forse di Watchmen non hanno avuto occasione di vedere nemmeno la versione cinematografica di Zack Snyder.

In un Paese come l’Italia, abituato alla gerontocrazia, addirittura forse stupisce il fatto che negli Stati Uniti esiste, all’interno delle major del fumetto (DC, Marvel, Image, Dark Horse ecc.), un’intera generazione di editor che ha meno di trent’anni e che quindi, quando Watchmen veniva pubblicato per la prima volta, non aveva ancora visto la luce. Un’iniziativa come Before Watchmen può aver contribuito, quindi, a ricostruire intorno al romanzo grafico di Moore e Gibbons un sostrato culturale che, nel corso di quasi tre decenni, era andato inevitabilmente perso, eroso dal tempo, col serio rischio di farlo cadere nel dimenticatoio, surclassato, magari – un paradosso – da storie più recenti derivanti dalla sua unica e originaria vena revisionista.

Pollice alto per Before Watchmen, allora. Un’intelligente mossa di marketing creativo per rinverdire i fasti di un capolavoro immortale presso un pubblico del tutto diverso rispetto a quello degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.


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