È stato uno degli “argomenti
caldi” a cavallo tra il 2012 e il 2013: l’opportunità o meno da parte della DC
Comics di porre mano sull’universo di Watchmen
per inaugurare un’ampia serie di iniziative editoriali incentrate sui
protagonisti del capolavoro realizzato da Alan Moore e Dave Gibbons nel 1986.
Una questione interessante che ha
visto letteralmente collidere ben tre universi: quello personale di Alan Moore,
ormai da decenni in lotta contro la dirigenza della major newyorchese, le sue
politiche commerciali e il suo presunto disinteresse nei confronti dei diritti
degli autori. Quello, poi, degli strenui difensori della dimensione considerata
ormai “sacrale” di un’opera come Watchmen,
assurta – con l’imprimatur dei benemeriti e coltissimi critici letterari della
rivista “Time” – a perla romanzesca del Novecento. E, infine, quello dei
curiosi, dei “possibilisti” e – ovviamente – degli alti vertici della DC Comics,
convinti che una nuova incursione nei territori narrativi creati da Moore e
Gibbons non sarebbe andata a intaccare l’essenza e il valore del lavoro
originario, ma, al contrario, avrebbe contribuito a rinvigorirlo e a
celebrarlo.
I motivi del contendere si basano
comunque su un’ambiguità di fondo: che cos’è Watchmen, un fumetto seriale o un cosiddetto “graphic novel”
d’autore? La risposta è: entrambe le cose. L’idea-base di Watchmen nacque, infatti, all’indomani dell’acquisizione da parte
della DC Comics dei classici personaggi supereroistici di un’altra casa editrice,
la Charlton ,
nota per le simpatie destrorse dei suoi proprietari. I protagonisti della
storia avrebbero quindi dovuto essere characters
pre-esistenti come Capitan Atom, Blue Beetle, The Question, Peacemaker,
Nightshade e Thunderbolt, ma esigenze di opportunità commerciale – giustamente
dettate dalla constatazione che dopo una storia crepuscolare e definitiva come Watchmen quei personaggi sarebbero, in
seguito, risultati inutilizzabili – fecero sì che Moore e Gibbons, su richiesta
degli editor della DC Comics, optassero per la creazione di figure del tutto
nuove, sebbene dotate di caratteristiche simili.
Watchmen fu concepito, pertanto, originariamente come prodotto
seriale (venne pubblicato, infatti, come maxiserie di dodici numeri e soltanto
dopo riproposto nel formato trade
paperback) volto a tutelare e a far fruttare un investimento finanziario e
creativo della DC Comics. La dimensione “artistica” dell’opera è emersa solo
successivamente, grazie agli exploit della critica e all’oggettiva
constatazione che un’operazione del genere non era mai stata tentata prima
(perlomeno non con queste modalità tecnico-narrative).
Da lì, la vexata quaestio che affonda una parte delle sue radici anche nel
tacito patto instauratosi tra Moore e la DC
Comics di non fornire “appendici” – quindi né sequel, né
prequel – a Watchmen. Un patto
destinato a essere “tradito” dalla recente mossa commerciale del colosso
editoriale americano: il lancio in grande stile di un’intera linea di miniserie
e one-shot (Silk Spectre di Darwyn Cooke e Amanda Conner; Il Comico di Brian Azzarello e J.G. Jones; Ozymandias di Len Wein e Jae Lee; Nite Owl di J. M. Straczynski e Andy & Joe Kubert; Rorschach di Brian Azzarello e Lee
Bermejo; Dottor Manhattan di J.M.
Straczynski e Adam Hughes; Minutemen
di Darwyn Cooke; Moloch di J.M.
Straczynski e Eduardo Risso; Dollar Bill
di Len Wein e Steve Rude; Il Corsaro Cremisi di Len Wein e John Higgins) pubblicata sotto il logo-ombrello Before Watchmen e realizzata da alcune
tra le firme più importanti del fumetto mainstream d’oltreoceano.
Si tratta di
lavori qualitativamente più che apprezzabili, non di rado intriganti (la
RW Lion , partner italiano della DC Comics, li
ha proposti nel nostro Paese dapprima sotto forma di comic-books, così come avvenuto negli USA, mentre adesso sta per raccoglierli in volumi) che, tuttavia, hanno
suscitato perplessità pure tra coloro che non avevano accolto l’operazione con
aprioristico scetticismo. Il motivo? In generale perché queste miniserie, pur
scavando per bene nel background dei personaggi di Watchmen, non aggiungerebbero nulla di davvero nuovo e
indispensabile a quanto già presente nella storia originale di Moore e Gibbons.
Il problema andrebbe, però,
secondo me affrontato da un altro punto di vista. Ferma restando la sua
importanza epocale e il suo status di capolavoro nel contesto della narrativa
anglosassone, Watchmen (che la RW Lion ha ristampato anche in questo caso sotto forma di albetti singoli proprio in concomitanza con l'uscita dei vari prequel) rimane
comunque una storia supereroistica nata in seno a un’industria che su questo
genere popolare basa gran parte del proprio fatturato. Watchmen, insomma, è anche – e in questo risiede parte della sua
grandezza – un fumetto commerciale che trae le sue strategie narrative dal
cuore stesso delle esigenze di marketing. E, in quanto tale – ancor più di
quanto possa accadere a un classico letterario – è un’opera che se non
vivificata nel tempo, è destinata a morire.
Già, non dimentichiamoci che la
prima edizione di Watchmen risale a ben 28 anni fa – più di un quarto di
secolo – che, nel tempo compresso che siamo abituati a vivere, equivale più o
meno a un’intera era geologica. Ed è un’opera che, pur nella sua esemplarità,
risente del clima culturale e politico nella quale è nata (la Guerra Fredda , il reaganismo e
il thatcherismo, ecc.). E che oggi rappresenta solo un vago ricordo per almeno
due giovani generazioni: quella degli attuali trentenni e quella dei nuovi
adolescenti. Individui che forse di Watchmen
non hanno avuto occasione di vedere nemmeno la versione cinematografica di Zack
Snyder.
In un Paese come l’Italia,
abituato alla gerontocrazia, addirittura forse stupisce il fatto che negli
Stati Uniti esiste, all’interno delle major del fumetto (DC, Marvel, Image,
Dark Horse ecc.), un’intera generazione di editor che ha meno di trent’anni e
che quindi, quando Watchmen veniva
pubblicato per la prima volta, non aveva ancora visto la luce. Un’iniziativa
come Before Watchmen può aver
contribuito, quindi, a ricostruire intorno al romanzo grafico di Moore e
Gibbons un sostrato culturale che, nel corso di quasi tre decenni, era andato
inevitabilmente perso, eroso dal tempo, col serio rischio di farlo cadere nel
dimenticatoio, surclassato, magari – un paradosso – da storie più recenti derivanti
dalla sua unica e originaria vena revisionista.
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