Ricordo che prima di mettermi a seguirne una stagione mi ci volevano un paio di sedute di training autogeno.
Eppure Prime Suspect, la serie televisiva poliziesca trasmessa tra il 1991 e il 2006 dalla britannica ITV e interpretata dal premio Oscar Ellen Mirren (nel ruolo della tormentata ispettrice di polizia Jane Tennison), era qualcosa che alla fine ti lasciava soddisfatto e arricchito, anche se lo svolgimento della vicenda era talmente lento e intricato da farti perdere di vista, in certi casi, l'assunto dal quale aveva preso le mosse.
Eppure Prime Suspect, la serie televisiva poliziesca trasmessa tra il 1991 e il 2006 dalla britannica ITV e interpretata dal premio Oscar Ellen Mirren (nel ruolo della tormentata ispettrice di polizia Jane Tennison), era qualcosa che alla fine ti lasciava soddisfatto e arricchito, anche se lo svolgimento della vicenda era talmente lento e intricato da farti perdere di vista, in certi casi, l'assunto dal quale aveva preso le mosse.
Si trattava di una precisa cifra stilistica imposta dalla creatrice della serie, la romanziera Lynda La Plante: Prime Suspect era, infatti, un poliziesco procedurale che andava a innestarsi sulla difficile vita privata della protagonista - una donna in carriera costretta dal lavoro a rinunciare a famiglia, maternità e rapporti sociali - trasformandosi in un pezzo di vita che si dipanava quasi in tempo reale davanti agli occhi dello spettatore.



Nel 2013, così come avevamo già avuto modo di dire altrove, l'Oscar dell'anticlimax nella fiction TV straniera l'ha vinto senza ombra di dubbio quel mezzo capolavoro noir di Hannibal, graziato da un paio di straordinari episodi basati interamente su disquisizioni filosofiche e atmosfere rarefatte.

In The Killing le svolte che sembravano portare alla risoluzione del delitto erano innumerevoli, ma sfociavano puntualmente in vicoli bui e ciechi. Nel frattempo atmosfere cupe e dilemmi esistenzialisti permeavano lo schermo stringendo lo spettatore in un abbraccio freddo e inquieto fino a una risoluzione dell'enigma che faceva un po' a pugni con le ventisei puntate che ci erano volute per venirne a capo. Ventisei puntate in cui i climax essenziali - cioè, così propriamente definibili - si potevano contare sulle dita di una mano.
Si è dovuto attendere, di recente, l'ottavo episodio della terza stagione - incentrata su una storyline completamente nuova - per assistere a uno straccio di inseguimento con ostaggio annesso, mentre nella nona puntata - diretta, non a caso, con mano inconfondibile, dal Jonathan Demme de Il silenzio degli innocenti - si sono visti più colpi di scena che nei trentatre capitoli precedenti messi insieme.
Nondimeno The Killing - la cui quarta stagione è stata opzionata dal sempre più agguerrito canale internettiano Netflix - resta un serie TV affascinante che ti restituisce intatta la sensazione fisica di trovarti in una piovosa e livida Seattle assieme a personaggi carichi di una dolorosa umanità, nei quali è impossibile non riconoscersi.
E guarda un po', di matrice europea è pure Low Winter Sun, serie americana ricavata anch'essa da un format europeo (l'omonima miniserie britannica trasmessa da Channel 4).e interpretata, in entrambi i casi, dal medesimo attore protagonista: il Mark Strong visto in Kick-Ass e nello Sherlock Holmes di Guy Ritchie.
Low Winter Sun - andata in onda, così come The Killing, sotto l'egida del marchio AMC - è un noir spietato ambientato nella disastrata Detroit contemporanea, quella che si è trasformata anche nel mondo reale nello scenario apocalittico del primo Robocop e nell'avamposto dell'Inferno de Il Corvo (un tragico fattore che ha permesso alla produzione di usufruire di sette milioni e mezzo di incentivi finanziari dallo Stato del Michigan per la creazione di nuovi posti di lavoro e il rilancio dell'indotto cittadino).
E' vero che il primo, potentissimo climax di Low Winter Sun lo si trova proprio all'inizio dell'episodio pilota - quando i due poliziotti protagonisti si ritrovano nella necessità di dover eliminare brutalmente un collega corrotto - ma è altrettanto vero che per poterne assistere a un altro paio di una certa consistenza bisogna attendere l'ottava puntata (su un totale di dieci).
Tuttavia pure in questo caso, si va, da spettatori. sotto l'effetto di una specie di ipnosi che ti proietta in un mondo alieno e privo di speranza. Un mondo di anticlimax che assomigliano a ceneri roventi che fanno ardere le parti più tenebrose dell'anima di chi vi assiste..

Nondimeno The Killing - la cui quarta stagione è stata opzionata dal sempre più agguerrito canale internettiano Netflix - resta un serie TV affascinante che ti restituisce intatta la sensazione fisica di trovarti in una piovosa e livida Seattle assieme a personaggi carichi di una dolorosa umanità, nei quali è impossibile non riconoscersi.
E guarda un po', di matrice europea è pure Low Winter Sun, serie americana ricavata anch'essa da un format europeo (l'omonima miniserie britannica trasmessa da Channel 4).e interpretata, in entrambi i casi, dal medesimo attore protagonista: il Mark Strong visto in Kick-Ass e nello Sherlock Holmes di Guy Ritchie.

E' vero che il primo, potentissimo climax di Low Winter Sun lo si trova proprio all'inizio dell'episodio pilota - quando i due poliziotti protagonisti si ritrovano nella necessità di dover eliminare brutalmente un collega corrotto - ma è altrettanto vero che per poterne assistere a un altro paio di una certa consistenza bisogna attendere l'ottava puntata (su un totale di dieci).
Tuttavia pure in questo caso, si va, da spettatori. sotto l'effetto di una specie di ipnosi che ti proietta in un mondo alieno e privo di speranza. Un mondo di anticlimax che assomigliano a ceneri roventi che fanno ardere le parti più tenebrose dell'anima di chi vi assiste..
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