Continuando nella rievocazione del mio rapporto con l'opera di Thomas Harris (un discorso che ha preso il via in questo post), ricordo che fu qualche mese dopo aver acquistato Il delitto della terza luna (primo titolo italiano di Red Dragon) che venni a sapere dell'imminente uscita de Il silenzio degli innocenti. Fremevo, non stando più nella pelle: ordinai il romanzo al mio amico librario, Mario Tartaglione, e mi posi in attesa.
Il giorno stesso in cui il libro arrivò sugli scaffali, la prima copia fu mia. Eravamo in piena primavera, gli esami universitari incombevano, ma io interruppi lo studio per immergermi nella lettura dell'ultima fatica di Thomas Harris. In quel momento non me ne fregava nulla dei voti accademici: Il silenzio degli innocenti rappresentava la priorità.
Harris riuscì a sorprendermi e a intrigarmi anche stavolta: Hannibal Lecter acquisiva una posizione centrale che nel capitolo precedente non spiccava (anche se il Cannibale, di fatto, in Red Dragon era riuscito a muovere alla perfezione i fili della trama, nascosto dietro le quinte del carcere psichiatrico); Clarice Starling era un personaggio umanissimo e pieno di pietas; Jame Gumb/Buffalo Bill era un serial killer terrificante e carico di dolorosa malinconia, impegnato com'era nel cercare attraverso strumenti omicidi un'identità interiore ed esteriore nel vuoto pneumatico della sua anima ("Lui non è un omosessuale. Crede di essere un omosessuale").
L'intreccio si dipanava in maniera più lineare rispetto a Red Dragon: ne ricavai addirittura l'impressione che Harris, nello scrivere il romanzo, avesse tenuto conto in maniera positiva delle semplificazioni che Michael Mann aveva apportato alla trama del romanzo precedente quando si era impegnato a trasporlo in Manhunter - Frammenti di un omicidio. Trovai inoltre meravigliosa l'idea di una giovanissima e inesperta allieva dell'accademia dell'FBI messa a confronto con una delle più grandi e sofisticate menti criminali mai esistite. Una situazione creata ad arte da Jack Crawford, capo dipartimento dell'agenzia governativa, che proprio per questo si colorava di nuove, più ambigue sfaccettature.
Diventava evidente che il Crawford interpretato dall'indimenticabile, compianto Dennis Farina in Manhunter era ben diverso da quello dei romanzi originali: lungi dall'essere un paladino senza macchia, si configurava invece come un manipolatore capace dapprima di far ritornare in servizio - al di là dei valori dell'amicizia e dell'umana empatia - un Will Graham ancora psicologicamente provato dalle tragiche esperienze vissute nel recente passato e poi di cooptare lusingandola una giovane ancora inconsapevole per andare a carpire i favori del diavolo in persona.
Diventava evidente che il Crawford interpretato dall'indimenticabile, compianto Dennis Farina in Manhunter era ben diverso da quello dei romanzi originali: lungi dall'essere un paladino senza macchia, si configurava invece come un manipolatore capace dapprima di far ritornare in servizio - al di là dei valori dell'amicizia e dell'umana empatia - un Will Graham ancora psicologicamente provato dalle tragiche esperienze vissute nel recente passato e poi di cooptare lusingandola una giovane ancora inconsapevole per andare a carpire i favori del diavolo in persona.
Il silenzio degli innocenti era, insomma, un gioiello di ambiguità denso di nere inquietudini al quale neppure un finale (assai apparentemente) positivo riusciva a fornire qualche scampolo di luce.
Quando due o tre anni dopo ne uscì la versione cinematografica diretta da Jonathan Demme - quella destinata a far esplodere la Lecter-mania in tutto il mondo e a generare epigoni su epigoni in ogni campo dei media - l'enorme fedeltà visiva a tutto ciò che nel romanzo veniva descritto mi colpì parecchio positivamente (lo vidi per la prima volta nel corso di una indimenticabile, solitaria serata bolognese, mentre i miei genitori a Napoli mi davano per disperso da quattro giorni). Jodie Foster era semplicemente perfetta nella parte di Clarice Starling - nella scena in cui partecipa all'ispezione del cadavere di una delle vittime di Buffalo Bill, raggiunge picchi attoriali incommensurabili - e il gallese Anthony Hopkins, col suo sguardo e il suo corpo tarchiato, si poneva in continuità con l'interpretazione che Brian Cox, in Manhunter, aveva fornito del dottor Lecter. Un Cannibale che però continuava a essere fisicamente distante da quello descritto da Harris nei romanzi: magro, slanciato, con un atteggiamento da hidalgo spagnolo quello letterario; non molto alto ed esplicitamente demoniaco quello cinematografico.
Quando due o tre anni dopo ne uscì la versione cinematografica diretta da Jonathan Demme - quella destinata a far esplodere la Lecter-mania in tutto il mondo e a generare epigoni su epigoni in ogni campo dei media - l'enorme fedeltà visiva a tutto ciò che nel romanzo veniva descritto mi colpì parecchio positivamente (lo vidi per la prima volta nel corso di una indimenticabile, solitaria serata bolognese, mentre i miei genitori a Napoli mi davano per disperso da quattro giorni). Jodie Foster era semplicemente perfetta nella parte di Clarice Starling - nella scena in cui partecipa all'ispezione del cadavere di una delle vittime di Buffalo Bill, raggiunge picchi attoriali incommensurabili - e il gallese Anthony Hopkins, col suo sguardo e il suo corpo tarchiato, si poneva in continuità con l'interpretazione che Brian Cox, in Manhunter, aveva fornito del dottor Lecter. Un Cannibale che però continuava a essere fisicamente distante da quello descritto da Harris nei romanzi: magro, slanciato, con un atteggiamento da hidalgo spagnolo quello letterario; non molto alto ed esplicitamente demoniaco quello cinematografico.
Anche se, rispetto all'inossidabile Manhunter, il film de Il silenzio degli innocenti invecchia peggio, mostrando oggi qualche ruga di troppo, la pellicola di Demme conserva intatta l'intensità dei momenti topici. Certo, adesso l'ingresso in scena di Lecter non si può proprio più guardare (lui in piedi al centro della cella a spararsi la posa di fronte a Clarice Starling: Daniele Brolli all'epoca fu il primo a contestarla). E certi movimenti di cinepresa che servivano a generare tensione, col trascorrere degli anni sono diventati semplicemente troppo lenti. Perfino l'anticlimax, con Lecter che telefona a Clarice per suggerirle, con tanto di battutina ammiccante, che sta per uccidere e divorare il sadico dottor Chilton, sembra divenuto un po' pacchiano (nel romanzo, invece, il serial killer indirizza delle lettere ad alcuni protagonisti della storia: una soluzione di certo scarsamente traducibile per immagini).
Eppure l'intera sequenza dell'evasione di Lecter resta ancora memorabile, così come quella col montaggio alternato che alla fine sorprende lo spettatore facendogli capire che Clarice si è gettata inconsapevolmente nella bocca del leone (la casa di Buffalo Bill) senza nessuna copertura.
E che dire della colonna sonora? Demme era un esperto della scena musicale newyorchese e le soundtrack di due suoi film precedenti - Qualcosa di travolgente e Una vedova allegra ma non troppo - si erano rivelate una gioia per gli orecchi, con le loro commistioni di punk, new wave e ritmi caraibici. E anche Il silenzio degli innocenti non faceva eccezione, con una scelta di pezzi rock ed elettronici che si andavano a innestare sulla partitura originale di Howard Shore.
Come dimenticare le note di Goodbye Horses di Q. Lazzarus - brano, tra l'altro già presente in Una vedova allegra ma non troppo - che risuonano nello studio di Jame Gumb/Buffalo Bill, mentre il serial killer si veste della sua macabra mise sussurrando: "Tu mi scoperesti? Io mi scoperei in continuazione...!"?
Un'immagine tragica, macabra e violentissima che rappresenta forse l'unico, vero valore aggiunto de Il silenzio degli innocenti-film alla trama e ai dialoghi originali del romanzo di Harris.
(2 - continua qui)
Un'immagine tragica, macabra e violentissima che rappresenta forse l'unico, vero valore aggiunto de Il silenzio degli innocenti-film alla trama e ai dialoghi originali del romanzo di Harris.
(2 - continua qui)
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