"Hannibal Lecter è un franchise di successo: perciò, o mi dai un nuovo testo adesso oppure lo faccio scrivere a qualcun altro": Questo è quanto dice Dino De Laurentiis a Thomas Harris all'indomani del buon riscontro ottenuto nel 2002 dalla trasposizione cinematografica di Red Dragon diretta da Brett Ratner.
Nei suoi (frequenti) momenti di crisi creativa, lo scrittore è stato accolto come un pascià dal produttore, che l'ha ospitato in Italia, nella sua lussuosa villa sull'Isola delle Sirene, coccolandolo con piatti a base di insalata caprese, tuffi davanti ai Faraglioni.e rilassanti gite in barca tra la Grotta Azzurra e la Grotta del Corallo.
Nei suoi (frequenti) momenti di crisi creativa, lo scrittore è stato accolto come un pascià dal produttore, che l'ha ospitato in Italia, nella sua lussuosa villa sull'Isola delle Sirene, coccolandolo con piatti a base di insalata caprese, tuffi davanti ai Faraglioni.e rilassanti gite in barca tra la Grotta Azzurra e la Grotta del Corallo.
A Harris risulta perciò difficile dire di no al suo amico/mecenate, accettando di scrivere contemporaneamente sia il romanzo che la sceneggiatura cinematografica (fatto, quest'ultimo, per lui inedito) di Hannibal Rising, in cui si narra dell'adolescenza di Hannibal Lecter e delle vicende che l'hanno portato a a diventare ciò che è.
Il romanzo, ribattezzato in italiano Hannibal Lecter: Le origini del male, viene pubblicato nel 2006, rivelandosi un disastro. E non tanto per il plot poco coinvolgente - una specie di Conte di Montecristo rivisitato in salsa pulp - ma per una cifra stilistica sciatta, priva di mordente, lontanissima dalle attenzioni formali e linguistiche che Harris aveva posto nei romanzi precedenti. Il mistero di questo sfacelo è evidente fin da subito: lo scrittore ha di fatto lavorato prima sulla sceneggiatura del film che sul libro e quindi l'opera letteraria non è altro che il frettoloso, maldestro romanzamento di un copione cineamatografico.
Ed è forse per questo che il film, lanciato nel 2007, risulta assai migliore del romanzo. Finanziato da De Laurentiis con la compartecipazione di Tarak Ben Ammar, produttore e distributore tunisino che diverrà in seguito famoso ai più per i suoi contorti rapporti d'affari con Silvio Berlusconi, Hannibal Lecter: Le origini del male si avvale della regia del britannico Peter Webber che già aveva firmato il non esaltante La ragazza dall'orecchino di perla, biopic sulla figura del pittore fiammingo Johannes Vermeer. Proprio quel Vermeer che, nei romanzi di Harris, viene indicato come l'artista preferito del dottor Lecter.e, per osmosi, anche di Barney, l'infermiere di colore che aveva accudito il Cannibale durante i suoi anni di prigionia nel manicomio criminale di Baltimora. Quel Vermeer di cui Barney - divenuto ricco dopo aver venduto a caro prezzo a un danaroso collezionista la maschera di sicurezza indossata dal Cannibale nel corso dei suoi spostamenti clinici - intende vedere dal vivo tutti i quadri sparsi per il mondo, giungendo alfine a Buenos Aires, città da cui scappa in preda al terrore nel momento in cui intravede da lontano il dottor Lector mentre passeggia con la sua amante, Clarice Starling (così come viene narrato nel romanzo Hannibal).
Il ruolo del giovane Hannibal viene, invece, affidato al magnetico Gaspard Ulliel, attore francese già insignito di varie onorificenze in madrepatria e in seguito modello e testimonial per alcuni tra i più importanti marchi di moda transalpini, da Longchamps a Chanel. Al suo fianco, nella parte della giapponese Lady Murasaki, zia acquisita e mentore di Lector, viene posta la star cinese Gong Li.
Hannibal: Le origini del male non è brutto - ripeto: rispetto al romanzo non è da disprezzare - ma nulla aggiunge e nulla toglie alla figura di Lector. L'unica rivelazione, nemmeno tanto sorprendente e, anzi, abbastanza telefonata, è che anche il futuro psichiatra si era nutrito del corpo di sua sorella Micha quando - prigioniero della morsa dell'inverno russo e in assenza di viveri - il manipolo di sbandati filonazisti, da cui i due bambini erano stati fatti prigionieri, l'aveva smembrata per cibarsene.
Per il resto è una banale pellicola, ben illuminata (da Ben Davis, futuro direttore della fotografia di movie-comics come Kick-Ass, Tamara Drewe, Guardians of the Galaxy e The Avengers: Age of Ultron) e ben montata (dal premio Oscar Pietro Scalia, già autore dell'editing di Hannibal), ma che solo i fan hardcore possono in parte apprezzare, mentre considerata a sé stante, appare quasi priva di finalità: né thriller, né noir, né horror, quanto piuttosto una via di mezzo tra una revenge story e un percorso di formazione alla rovescia privo di una vera conclusione.
In ogni caso il film si connota subito come un clamoroso fiasco: la critica mondiale lo massacra e l'investimento di cinquanta milioni di dollari produce sostanzialmente un misero pareggio.
Hannibal: Le origini del male è l'ultima produzione cinematografica - se si eccettua la trascurabile commediola giovanilistica Decameron Pie - di Dino De Laurentiis che morirà nel 2010 alla veneranda età di 91 anni, lasciando le redini della compagnia nelle salde e capaci mani della moglie Martha.
Ma nel 2011 la produttrice Katie O'Connell incomincia a sviluppare per il network statunitense NBC una serie televisiva dedicata all'oscuro antieroe di Thomas Harris e ambientata in un'epoca immediatamente precedente agli eventi descritti in Red Dragon. La Connell trova nell'amico Bryan Fuller (già scrittore e produttore di Heroes, altra apprezzata serie TV targata NBC) lo showrunner ideale per dare il "la" al progetto. E la forza della sceneggiatura che Fuller stende per l'eventuale primo episodio del serial, è tale che la dirigenza del network concede subito l'imprimatur - senza nemmeno attendere gli screening di un pilot - per una prima stagione di tredici episodi.
Personalmente, fin dal momento in cui incappo nel trailer della serie resto impressionato. Il casting è semplicemente perfetto: l'inglese Hugh Dancy è il Will Graham definitivo, nerd e allucinato esattamente come l'aveva descritto Thomas Harris nel 1981 sulle pagine di Red Dragon. E l'Hannibal Lecter incarnato dall'attore danese Mads Mikkelsen... be', è la perfezione assoluta: l'hidalgo spagnolo, l'algido dandy, imperscrutabile, alto e longilineo così come appariva nei romanzi originali.
Guardo il trailer della serie TV di Hannibal e già so - senza averne visto nemmeno un episodio - che finalmente, dopo un quarto di secolo, potrò ritrovare intatti e senza manipolazioni deformanti i personaggi e le atmosfere che hanno segnato la mia giovinezza.
Le conferme della prima impressione poi fioccano: fin dal pilot è chiaro che il mood visivo e concettuale della serie si rifà tanto all'allucinante poetica di David Lynch che alle glaciali inquadrature di Stanley Kubrick (riprese geometricamente calcolate, ambienti freddi e razionali). E alla riuscita di questa altissima vena citazionistica e postmoderna concorrono fior di registi: David Slade, autore dell'ottimo horror movie 30 Giorni di Buio; Michael Rymer, colonna di Battlestar Galactica e American Horror Story; Peter Medak, artefice di gioielli cinematografici come The Krays e Romeo is bleeding; Guillermo Navarro, direttore della fotografia di Guillermo Del Toro e Robert Rodriguez; James Foley, che negli anni Ottanta aveva diretto il bellissimo noir A distanza ravvicinata; Tim Hunter, firma di riferimento di alcune tra le più importanti serie TV americane, e John Dahl, famoso sia per il noir di culto L'ultima seduzione, sia per la regia di serial come Dexter, True Blood, Justified, Homeland e Californication.
Insomma, un pedigree artistico che fin dall'inizio appare impressionante.
Hannibal si incanala subito nella direzione auspicata: il Will Graham di Hugh Dancy fa dimenticare finalmente quello interpretato in Manhunter: Frammenti di un omicidio da William Petersen, dando vita a una recitazione tragica e convulsa. Il Lecter di Mikkelsen, dal canto suo, torna a essere il torbido esploratore di abissi psicologici e manipolatore di anime che nei film si era solamente intravisto. Non l'incarnazione del male, ma una specie di extraterrestre amorale che guarda alla vita come a un terribile esperimento e che ama cucinare gli esseri umani per assimilarli e saggiarne le possibilità di trasformazione.
Fuller, in Hannibal, riesce nell'impresa di tradurre in azioni, parole, atmosfere e immagini tutta l'angoscia e il nichilismo che pervadevano il corpus letterario originale di Thomas Harris. Riesce a catturarne tutto: la violenza surreale, l'immaginario grottesco e sopra le righe dei corpi maciullati e rimodellati come se fossero opere d'arte; la morbosità insita nell'anima di ogni personaggio principale della trama; le dinamiche relazionali sfaccettate, complesse, spesso indecifrabili.
Hannibal è un serial dolente, plumbeo - e le desolate location canadesi accentuano il peso della cappa esistenzialista che grava sul racconto - in cui a lunghi momenti di riflessione filosofica e psicologica, con dialoghi in punta di fioretto e silenzi che sfiorano la narcolessia, fanno da contrappunto climax imprevedibili ed esplosivi.
Fuller trova il modo di citare in continuazione battute e situazioni tratte dalle opere di Harris, riuscendo sempre a infondervi nuova linfa. Tutto è funzionale, tutto è nuovo nel serial di Hannibal: il giornalista arrivista Freddie Lounds viene trasformato in una ricorrente figura femminile che serve a riequilibrare il parco dei personaggi, troppo spostato sul genere maschile; Jack Crawford - il capo del Dipartimento di Scienze comportamentali dell'FBI - non solo diventa un afroamericano interpretato da Lawrence Fishburne, ma gli viene restituita l'aura di ambiguità che lo circondava nei romanzi. Compaiono per la prima volta characters ai quali nei testi letterari si era fatto solo un rapido cenno (come la dottoressa Alana Bloom, amica e confidente di Will Graham, o Phyllis Crawford, moglie di Jack Crawford) o ideati per l'occasione (come Bedelia Du Maurier, psicologa e amica di Hannibal Lecter, interpretata da un'intensa Gillian Anderson).
Il gioco dei rimandi è spesso sofisticatissimo: Jack Crawford - prima ancora dell'avvento di Clarice Starling - incarica una giovanissima allieva dell'FBI, Miriam Lass, di indagare sui delitti compiuti da un dottor Lecter ancora insospettabile. E quando la ragazza intuisce il coinvolgimento dello psichiatra - anticipando, con le stesse, identiche modalità, le future scoperte di Will Graham - questi la uccide occultandone il cadavere. Un avvenimento che consente a Lecter di sondare le reazioni di Jack Crawford, portandone in luce le patologiche debolezze e una sostanziale schizofrenia d'animo. Debolezze e schizofrenia che successivamente lo condurranno a cercare un'astrusa e inammissibile forma di riscatto attraverso il reclutamento della protagonista de Il silenzio degli innocenti.
Bella anche la parte che coinvolge la moglie di Crawford. Di Phyllis, nei romanzi di Harris, si hanno notizie indirette. Si sa che è affetta da un male incurabile e quando muore, un Lector latitante si premura di far pervenire una sentita lettera di condoglianze all'ufficiale dell'FBI. Nella serie TV, la donna, già ammalata, è in analisi da Lecter e gli rivela di avere una relazione extraconiugale (di cui il marito probabilmente è a conoscenza, ma che accetta passivamente per motivi imperscrutabili).
Ancora: tra i pazienti di Lecter figura l'insulso Franklin Froideveaux che intrattiene un ambiguo rapporto d'amicizia con Tobias Budge, un serial killer in incognito. Due personaggi attraverso i quali Fuller ricrea la morbosa relazione che legava Benjamin Raspail (un frequentatore dello studio di Lecter di cui Clarice Starling ritrova in un deposito abbandonato la testa mozzata sotto formalina) e lo psicopatico Buffalo Bill/Jamie Gumb, snodo fondamentale, sebbene solo accennato, de Il silenzio degli innocenti.
La serie TV di Hannibal - tra i cui produttori figura anche Martha De Laurentiis, già coinvolta dal marito nella realizzazione delle trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Harris dirette da Ridley Scott, Brett Ratner e Peter Webber - si può insomma considerare come la vera serie rivelazione dell'appena trascorso 2013.
Un prodotto che riesce a far tesoro di trent'anni di esperienze narrative e cinematografiche rielaborandole e proiettandole verso il futuro. Ai primi tredici episodi di Hannibal, infatti, faranno seguito, nelle intenzioni degli autori, altre sei stagioni: due ancora basate su materiali inediti, la quarta relativa agli eventi di Red Dragon, la quinta incentrata su Il silenzio degli innocenti, la sesta sul plot di Hannibal e l'ultima su una storyline originale che dovrebbe andare a indagare quanto accaduto dopo la fuga di Lecter in Argentina, assieme a Clarice Starling.
Hannibal Lecter è tornato, allora. E, per fortuna, nel migliore dei modi.
(5 - fine)
Il ruolo del giovane Hannibal viene, invece, affidato al magnetico Gaspard Ulliel, attore francese già insignito di varie onorificenze in madrepatria e in seguito modello e testimonial per alcuni tra i più importanti marchi di moda transalpini, da Longchamps a Chanel. Al suo fianco, nella parte della giapponese Lady Murasaki, zia acquisita e mentore di Lector, viene posta la star cinese Gong Li.
Hannibal: Le origini del male non è brutto - ripeto: rispetto al romanzo non è da disprezzare - ma nulla aggiunge e nulla toglie alla figura di Lector. L'unica rivelazione, nemmeno tanto sorprendente e, anzi, abbastanza telefonata, è che anche il futuro psichiatra si era nutrito del corpo di sua sorella Micha quando - prigioniero della morsa dell'inverno russo e in assenza di viveri - il manipolo di sbandati filonazisti, da cui i due bambini erano stati fatti prigionieri, l'aveva smembrata per cibarsene.
Per il resto è una banale pellicola, ben illuminata (da Ben Davis, futuro direttore della fotografia di movie-comics come Kick-Ass, Tamara Drewe, Guardians of the Galaxy e The Avengers: Age of Ultron) e ben montata (dal premio Oscar Pietro Scalia, già autore dell'editing di Hannibal), ma che solo i fan hardcore possono in parte apprezzare, mentre considerata a sé stante, appare quasi priva di finalità: né thriller, né noir, né horror, quanto piuttosto una via di mezzo tra una revenge story e un percorso di formazione alla rovescia privo di una vera conclusione.
In ogni caso il film si connota subito come un clamoroso fiasco: la critica mondiale lo massacra e l'investimento di cinquanta milioni di dollari produce sostanzialmente un misero pareggio.
Hannibal: Le origini del male è l'ultima produzione cinematografica - se si eccettua la trascurabile commediola giovanilistica Decameron Pie - di Dino De Laurentiis che morirà nel 2010 alla veneranda età di 91 anni, lasciando le redini della compagnia nelle salde e capaci mani della moglie Martha.
Ma nel 2011 la produttrice Katie O'Connell incomincia a sviluppare per il network statunitense NBC una serie televisiva dedicata all'oscuro antieroe di Thomas Harris e ambientata in un'epoca immediatamente precedente agli eventi descritti in Red Dragon. La Connell trova nell'amico Bryan Fuller (già scrittore e produttore di Heroes, altra apprezzata serie TV targata NBC) lo showrunner ideale per dare il "la" al progetto. E la forza della sceneggiatura che Fuller stende per l'eventuale primo episodio del serial, è tale che la dirigenza del network concede subito l'imprimatur - senza nemmeno attendere gli screening di un pilot - per una prima stagione di tredici episodi.
Personalmente, fin dal momento in cui incappo nel trailer della serie resto impressionato. Il casting è semplicemente perfetto: l'inglese Hugh Dancy è il Will Graham definitivo, nerd e allucinato esattamente come l'aveva descritto Thomas Harris nel 1981 sulle pagine di Red Dragon. E l'Hannibal Lecter incarnato dall'attore danese Mads Mikkelsen... be', è la perfezione assoluta: l'hidalgo spagnolo, l'algido dandy, imperscrutabile, alto e longilineo così come appariva nei romanzi originali.
Guardo il trailer della serie TV di Hannibal e già so - senza averne visto nemmeno un episodio - che finalmente, dopo un quarto di secolo, potrò ritrovare intatti e senza manipolazioni deformanti i personaggi e le atmosfere che hanno segnato la mia giovinezza.
Le conferme della prima impressione poi fioccano: fin dal pilot è chiaro che il mood visivo e concettuale della serie si rifà tanto all'allucinante poetica di David Lynch che alle glaciali inquadrature di Stanley Kubrick (riprese geometricamente calcolate, ambienti freddi e razionali). E alla riuscita di questa altissima vena citazionistica e postmoderna concorrono fior di registi: David Slade, autore dell'ottimo horror movie 30 Giorni di Buio; Michael Rymer, colonna di Battlestar Galactica e American Horror Story; Peter Medak, artefice di gioielli cinematografici come The Krays e Romeo is bleeding; Guillermo Navarro, direttore della fotografia di Guillermo Del Toro e Robert Rodriguez; James Foley, che negli anni Ottanta aveva diretto il bellissimo noir A distanza ravvicinata; Tim Hunter, firma di riferimento di alcune tra le più importanti serie TV americane, e John Dahl, famoso sia per il noir di culto L'ultima seduzione, sia per la regia di serial come Dexter, True Blood, Justified, Homeland e Californication.
Insomma, un pedigree artistico che fin dall'inizio appare impressionante.
Hannibal si incanala subito nella direzione auspicata: il Will Graham di Hugh Dancy fa dimenticare finalmente quello interpretato in Manhunter: Frammenti di un omicidio da William Petersen, dando vita a una recitazione tragica e convulsa. Il Lecter di Mikkelsen, dal canto suo, torna a essere il torbido esploratore di abissi psicologici e manipolatore di anime che nei film si era solamente intravisto. Non l'incarnazione del male, ma una specie di extraterrestre amorale che guarda alla vita come a un terribile esperimento e che ama cucinare gli esseri umani per assimilarli e saggiarne le possibilità di trasformazione.
Fuller, in Hannibal, riesce nell'impresa di tradurre in azioni, parole, atmosfere e immagini tutta l'angoscia e il nichilismo che pervadevano il corpus letterario originale di Thomas Harris. Riesce a catturarne tutto: la violenza surreale, l'immaginario grottesco e sopra le righe dei corpi maciullati e rimodellati come se fossero opere d'arte; la morbosità insita nell'anima di ogni personaggio principale della trama; le dinamiche relazionali sfaccettate, complesse, spesso indecifrabili.
Hannibal è un serial dolente, plumbeo - e le desolate location canadesi accentuano il peso della cappa esistenzialista che grava sul racconto - in cui a lunghi momenti di riflessione filosofica e psicologica, con dialoghi in punta di fioretto e silenzi che sfiorano la narcolessia, fanno da contrappunto climax imprevedibili ed esplosivi.
Fuller trova il modo di citare in continuazione battute e situazioni tratte dalle opere di Harris, riuscendo sempre a infondervi nuova linfa. Tutto è funzionale, tutto è nuovo nel serial di Hannibal: il giornalista arrivista Freddie Lounds viene trasformato in una ricorrente figura femminile che serve a riequilibrare il parco dei personaggi, troppo spostato sul genere maschile; Jack Crawford - il capo del Dipartimento di Scienze comportamentali dell'FBI - non solo diventa un afroamericano interpretato da Lawrence Fishburne, ma gli viene restituita l'aura di ambiguità che lo circondava nei romanzi. Compaiono per la prima volta characters ai quali nei testi letterari si era fatto solo un rapido cenno (come la dottoressa Alana Bloom, amica e confidente di Will Graham, o Phyllis Crawford, moglie di Jack Crawford) o ideati per l'occasione (come Bedelia Du Maurier, psicologa e amica di Hannibal Lecter, interpretata da un'intensa Gillian Anderson).
Il gioco dei rimandi è spesso sofisticatissimo: Jack Crawford - prima ancora dell'avvento di Clarice Starling - incarica una giovanissima allieva dell'FBI, Miriam Lass, di indagare sui delitti compiuti da un dottor Lecter ancora insospettabile. E quando la ragazza intuisce il coinvolgimento dello psichiatra - anticipando, con le stesse, identiche modalità, le future scoperte di Will Graham - questi la uccide occultandone il cadavere. Un avvenimento che consente a Lecter di sondare le reazioni di Jack Crawford, portandone in luce le patologiche debolezze e una sostanziale schizofrenia d'animo. Debolezze e schizofrenia che successivamente lo condurranno a cercare un'astrusa e inammissibile forma di riscatto attraverso il reclutamento della protagonista de Il silenzio degli innocenti.
Bella anche la parte che coinvolge la moglie di Crawford. Di Phyllis, nei romanzi di Harris, si hanno notizie indirette. Si sa che è affetta da un male incurabile e quando muore, un Lector latitante si premura di far pervenire una sentita lettera di condoglianze all'ufficiale dell'FBI. Nella serie TV, la donna, già ammalata, è in analisi da Lecter e gli rivela di avere una relazione extraconiugale (di cui il marito probabilmente è a conoscenza, ma che accetta passivamente per motivi imperscrutabili).
Ancora: tra i pazienti di Lecter figura l'insulso Franklin Froideveaux che intrattiene un ambiguo rapporto d'amicizia con Tobias Budge, un serial killer in incognito. Due personaggi attraverso i quali Fuller ricrea la morbosa relazione che legava Benjamin Raspail (un frequentatore dello studio di Lecter di cui Clarice Starling ritrova in un deposito abbandonato la testa mozzata sotto formalina) e lo psicopatico Buffalo Bill/Jamie Gumb, snodo fondamentale, sebbene solo accennato, de Il silenzio degli innocenti.
La serie TV di Hannibal - tra i cui produttori figura anche Martha De Laurentiis, già coinvolta dal marito nella realizzazione delle trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Harris dirette da Ridley Scott, Brett Ratner e Peter Webber - si può insomma considerare come la vera serie rivelazione dell'appena trascorso 2013.
Un prodotto che riesce a far tesoro di trent'anni di esperienze narrative e cinematografiche rielaborandole e proiettandole verso il futuro. Ai primi tredici episodi di Hannibal, infatti, faranno seguito, nelle intenzioni degli autori, altre sei stagioni: due ancora basate su materiali inediti, la quarta relativa agli eventi di Red Dragon, la quinta incentrata su Il silenzio degli innocenti, la sesta sul plot di Hannibal e l'ultima su una storyline originale che dovrebbe andare a indagare quanto accaduto dopo la fuga di Lecter in Argentina, assieme a Clarice Starling.
Hannibal Lecter è tornato, allora. E, per fortuna, nel migliore dei modi.
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