"Hannibal Lecter è un franchise di successo: perciò, o mi dai un nuovo testo adesso oppure lo faccio scrivere a qualcun altro": Questo è quanto dice Dino De Laurentiis a Thomas Harris all'indomani del buon riscontro ottenuto nel 2002 dalla trasposizione cinematografica di Red Dragon diretta da Brett Ratner.
Nei suoi (frequenti) momenti di crisi creativa, lo scrittore è stato accolto come un pascià dal produttore, che l'ha ospitato in Italia, nella sua lussuosa villa sull'Isola delle Sirene, coccolandolo con piatti a base di insalata caprese, tuffi davanti ai Faraglioni.e rilassanti gite in barca tra la Grotta Azzurra e la Grotta del Corallo.
Nei suoi (frequenti) momenti di crisi creativa, lo scrittore è stato accolto come un pascià dal produttore, che l'ha ospitato in Italia, nella sua lussuosa villa sull'Isola delle Sirene, coccolandolo con piatti a base di insalata caprese, tuffi davanti ai Faraglioni.e rilassanti gite in barca tra la Grotta Azzurra e la Grotta del Corallo.
A Harris risulta perciò difficile dire di no al suo amico/mecenate, accettando di scrivere contemporaneamente sia il romanzo che la sceneggiatura cinematografica (fatto, quest'ultimo, per lui inedito) di Hannibal Rising, in cui si narra dell'adolescenza di Hannibal Lecter e delle vicende che l'hanno portato a a diventare ciò che è.



Hannibal: Le origini del male non è brutto - ripeto: rispetto al romanzo non è da disprezzare - ma nulla aggiunge e nulla toglie alla figura di Lector. L'unica rivelazione, nemmeno tanto sorprendente e, anzi, abbastanza telefonata, è che anche il futuro psichiatra si era nutrito del corpo di sua sorella Micha quando - prigioniero della morsa dell'inverno russo e in assenza di viveri - il manipolo di sbandati filonazisti, da cui i due bambini erano stati fatti prigionieri, l'aveva smembrata per cibarsene.

In ogni caso il film si connota subito come un clamoroso fiasco: la critica mondiale lo massacra e l'investimento di cinquanta milioni di dollari produce sostanzialmente un misero pareggio.
Hannibal: Le origini del male è l'ultima produzione cinematografica - se si eccettua la trascurabile commediola giovanilistica Decameron Pie - di Dino De Laurentiis che morirà nel 2010 alla veneranda età di 91 anni, lasciando le redini della compagnia nelle salde e capaci mani della moglie Martha.


Guardo il trailer della serie TV di Hannibal e già so - senza averne visto nemmeno un episodio - che finalmente, dopo un quarto di secolo, potrò ritrovare intatti e senza manipolazioni deformanti i personaggi e le atmosfere che hanno segnato la mia giovinezza.
Le conferme della prima impressione poi fioccano: fin dal pilot è chiaro che il mood visivo e concettuale della serie si rifà tanto all'allucinante poetica di David Lynch che alle glaciali inquadrature di Stanley Kubrick (riprese geometricamente calcolate, ambienti freddi e razionali). E alla riuscita di questa altissima vena citazionistica e postmoderna concorrono fior di registi: David Slade, autore dell'ottimo horror movie 30 Giorni di Buio; Michael Rymer, colonna di Battlestar Galactica e American Horror Story; Peter Medak, artefice di gioielli cinematografici come The Krays e Romeo is bleeding; Guillermo Navarro, direttore della fotografia di Guillermo Del Toro e Robert Rodriguez; James Foley, che negli anni Ottanta aveva diretto il bellissimo noir A distanza ravvicinata; Tim Hunter, firma di riferimento di alcune tra le più importanti serie TV americane, e John Dahl, famoso sia per il noir di culto L'ultima seduzione, sia per la regia di serial come Dexter, True Blood, Justified, Homeland e Californication.
Insomma, un pedigree artistico che fin dall'inizio appare impressionante.

Fuller, in Hannibal, riesce nell'impresa di tradurre in azioni, parole, atmosfere e immagini tutta l'angoscia e il nichilismo che pervadevano il corpus letterario originale di Thomas Harris. Riesce a catturarne tutto: la violenza surreale, l'immaginario grottesco e sopra le righe dei corpi maciullati e rimodellati come se fossero opere d'arte; la morbosità insita nell'anima di ogni personaggio principale della trama; le dinamiche relazionali sfaccettate, complesse, spesso indecifrabili.
Hannibal è un serial dolente, plumbeo - e le desolate location canadesi accentuano il peso della cappa esistenzialista che grava sul racconto - in cui a lunghi momenti di riflessione filosofica e psicologica, con dialoghi in punta di fioretto e silenzi che sfiorano la narcolessia, fanno da contrappunto climax imprevedibili ed esplosivi.



Ancora: tra i pazienti di Lecter figura l'insulso Franklin Froideveaux che intrattiene un ambiguo rapporto d'amicizia con Tobias Budge, un serial killer in incognito. Due personaggi attraverso i quali Fuller ricrea la morbosa relazione che legava Benjamin Raspail (un frequentatore dello studio di Lecter di cui Clarice Starling ritrova in un deposito abbandonato la testa mozzata sotto formalina) e lo psicopatico Buffalo Bill/Jamie Gumb, snodo fondamentale, sebbene solo accennato, de Il silenzio degli innocenti.

Un prodotto che riesce a far tesoro di trent'anni di esperienze narrative e cinematografiche rielaborandole e proiettandole verso il futuro. Ai primi tredici episodi di Hannibal, infatti, faranno seguito, nelle intenzioni degli autori, altre sei stagioni: due ancora basate su materiali inediti, la quarta relativa agli eventi di Red Dragon, la quinta incentrata su Il silenzio degli innocenti, la sesta sul plot di Hannibal e l'ultima su una storyline originale che dovrebbe andare a indagare quanto accaduto dopo la fuga di Lecter in Argentina, assieme a Clarice Starling.
Hannibal Lecter è tornato, allora. E, per fortuna, nel migliore dei modi.
(5 - fine)