E' da circa un mese che il nuovo libro di Peppe Ferrandino - autore di "Pericle il Nero" e indimenticato sceneggiatore di splendidi fumetti - ha fatto la sua comparsa nelle librerie.
Questa è la mia recensione pubblicata sulle pagine campane de "la Repubblica" sabato 14 luglio:
Giuseppe Ferrandino, Spada (Mondadori), pagg. 1120, euro 22
Seconda metà del Seicento, la Francia – governata da Luigi XIV – sta attraversando un’epoca di splendore culturale e politico. In una Parigi barocca, assurta a capitale d’Europa, giunge col suo fagotto – che gli verrà immediatamente rubato, fornendo il “la” alle sue tribolazioni – il diciassettenne Filippo Bornardone, emigrato dall’arcaica provincia napoletana per cercare fortuna tra le fila del corpo dei moschettieri.
Filippo è svelto di braccio – è già un abile spadaccino – ma anche di cervello, come attestano i suoi studi filosofici e le capacità strategiche temprate dallo studio di Tucidide. E nonostante il ragazzo pecchi delle ingenuità e dell’inesperienza tipiche dell’adolescenza, sarà costretto a una rapida maturazione per poter uscire indenne da un’avventura investigativa che affonda le radici nelle gesta compiute in passato da quattro uomini leggendari: D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis, prima spina nel fianco del ministro Richelieu e poi attori – su fronti contrapposti – di un misterioso intrigo che aveva fatto vacillare la legittimità della Corona.
Spada è un romanzo epico e monumentale col quale l’ischitano Giuseppe Ferrandino torna alla narrativa dopo una lunga assenza. Si tratta di un’opera ambiziosa che non solo si riaggancia a personaggi, ambientazioni, temi e intrecci presenti nella trilogia di Dumas dedicata ai moschettieri del re – e, soprattutto, agli echi crepuscolari de Il Visconte di Bragelonne – ma che si propone di riprodurre in forma mimetica modalità, stili peculiari e linguaggi del feuilleton ottocentesco. L’approccio di Ferrandino a una materia ormai canonizzata riesce, però, a essere fresco, originale. Forte della sua esperienza nel campo del fumetto popolare – che richiede abilità e metodo per catturare l’immediato interesse dei lettori – e di una sensibilità storica alimentata da un poderoso lavoro di documentazione, lo scrittore ripercorre i topoi del romanzo d’appendice – uomini straordinari, duelli, scaramucce dialettiche, schermaglie sentimentali con donne affascinanti, sussulti e complicazioni della trama, misteri e regolamenti di conti – vivificandoli con sguardo moderno e spregiudicato. Ecco quindi apparire – tra lungaggini, ripetizioni e digressioni caratteristiche dell’opus dumasiano – flussi di coscienza e scandagli psicologici che sarebbero potuti appartenere a Svevo o a Moravia. Ecco aleggiare, in certi scambi di battute, inquieti accenti licenziosi degni di Apollinaire. Ecco contestualizzato e affrontato con acume – a dispetto dei pregiudizi che infestavano la letteratura ottocentesca – l’atteggiamento discriminatorio verso ebrei e arabi.
Ma Spada offre anche una rivisitazione del mito attraverso la sua decostruzione. Usando le parole dei suoi personaggi, Ferrandino ripercorre le trame di Dumas rilevandone i punti deboli, si accosta a D’Artagnan e ai suoi compagni di ventura tratteggiandoli come superbi, amorali superuomini nietszchiani piuttosto che come paladini senza macchia. E’ attraverso questo procedimento, però – mutuato dal revisionismo postmoderno di matrice anglosassone – che il romanziere riesce a immettere nuova linfa nel classicismo eroico, abbattendo figure collocate su un piedistallo e rendendole ancora specchio immortale delle insondabili ambizioni umane.
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