25 ago 2007

Go Nagai

A volte succede.

Ti capita di scrivere un pezzo per il giornale - "la Repubblica - Napoli", in questo caso - e che, per tutta una serie di motivi, non venga pubblicato.

L'arrivo di Go Nagai a Napoli in occasione del Comicon 2007 tenutosi a fine aprile aveva scatenato molteplici entusiasmi con giornalisti - professionisti e non - sgunzagliati a reperire dichiarazioni del mangaka per comporre articoli di sicuro richiamo commerciale.

Per l'edizione napoletana de "la Repubblica", l'incarico di seguire la manifestazione partenopea dedicata al fumetto l'avevo ottenuto io.

Go Nagai aveva tenuto la sua conferenza stampa di giovedì e io avevo fatto appena in tempo a inserire alcune sue dichiarazioni nel pezzone a tutta pagina previsto per il giorno dopo - incentrato sulla presentazione dell'intera convention - riservandomi di ampliare successivamente il discorso su di lui.

Non avevo calcolato che tra venerdì e sabato la stampa locale si sarebbe scatenata con un fuoco di fila di interventi, tutti più o meno simili tra loro e alcuni contenenti anche clamorosi errori di interpretazione del pensiero dell'artisa giapponese (come, per esempio, nell'articolo comparso sul "Roma").

Fatto sta che il mio pezzo su Go Nagai - che avevo pensato di proporre per il lunedì, a conclusione della manifestazione - era diventato per forza di cose obsoleto e "ritardatario".

Un peccato, perché - modestia a parte - sarebbe stato probabilmente il migliore tra tutti quelli usciti.

Lo edito adesso qui:

Durante la sua prima conferenza a Napoli – tenutasi l’altro ieri nella meeting room della pizzeria Brandi a via Chaia – Go Nagai si è intrattenuto volentieri a parlare delle sue creazioni e del suo folle, grottesco, sorprendente universo narrativo che si esplica in dozzine di opere spesso interconnesse e in diversi casi poco conosciute nel nostro Paese.
Illuminanti le sue considerazioni circa la violenza sanguinaria, a tratti cupa che darebbe ai suoi fumetti e ai serial d’animazione tratti da essi, una connotazione diseducativa. A questa accusa il mangaka controbatte che se i cartoons della Disney tendono a proporre una visione del mondo ottimistica in cui la corretta visione della realtà viene per certi versi falsata dai buoni sentimenti, nelle sue storie invece i protagonisti sono costretti a vivere i dolori e le ansie della vita vera, il dramma dello sforzo e della crescita. E questo ha sicuramente un valore educativo. Rispetto poi ad alcuni videogames estremi che pongono il giocatore in una situazione attiva nei confronti della violenza, un cartone animato basato su una narrazione mediata da un autore favorisce il distacco dalla tematica incandescente a favore di una riflessione più articolata e profonda da parte del fruitore.
Divertente, poi, la sua ammissione di incapacità iterativa con le macchine della quotidianità – “Non potrei mai guidare un robot da me inventato: mi ritroverei di sicuro a schiacciare qualche tasto sbagliato e a combinare guai” – a fronte di un ispirazione che lo ha portato a concepire i suoi robot umanizzati immaginando delle automobili che, in una situazione di ingorgo stradale, potessero proiettare gambe e braccia idrauliche fuori dagli abitacoli per tirarsi fuori dal traffico camminando.
E il suo primo approccio con Napoli? Affascinanti i vicoli – visti soltanto attraverso le pellicole cinematografiche italiane degli anni Cinquanta e Sessanta – e magnifica la statua di un guerriero vista al Museo Archeologico: “Potrebbe diventare uno dei miei prossimi personaggi,” ha detto, confermando tutta la sua vitalità di artista.


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