Il blog di Alessandro Di Nocera, alla ricerca di scampoli di poesia e umanità in un mondo duro.
Un laboratorio clandestino di visioni, emozioni, ossessioni.
"Jeremy" dei Pearl Jam fa parte della famosa categoria - qui già citata a proposito di "Sabotage" dei Beastie Boys - dei dieci video più belli e importanti di tutti i tempi. E anche uno dei più ambigui.
Paradossalmente il montaggio "censurato" preteso dal canale MTV è riuscito a trasformare il suicidio finale del protagonista davanti alla sua classe inorridita - con tanto di schizzi di sangue che piovono sui compagni sconvolti - in quello che sembra (sembra soltanto) il futuro massacro di Columbine.
Paradossalmente sembra che abbia direttamente ispirato anche l'autore di un triplice omicidio in una scuola superiore americana.
La regia, la fotografia, il montaggio - meravigliosi - sono di Mark Pellington, poi director di pellicole inquiete e interessanti come "The Mothman Prophecies" e "Arlington Road".
Eddie Vedder, leader del gruppo, gigioneggia in stato di grazia.
Attualmente il video passa poco sui canali della TV americana.
I motivi sono ovvi.
Si cacano sotto.
Sabato 15 settembre sarò a Benevento nelle vesti di relatore per la presentazione di "Burqua!", volume edito da Donzelli che vede affiancate la cartoonist napoletana Simona Bassano di Tufillo e la giornalista afgana Jamilla Mujhaed (con un importante e toccante resoconto della condizione femminile nel suo Paese prima e dopo la caduta del regime talebano).
Il libro ha il patrocinio di Amnesty International e il 50% del ricavato delle vendite presso il banchetto che affiancherà il tavolo di discussione viene devoluto in beneficenza proprio a questa storica e preziosa associazione umanitaria.
L'incontro col pubblico è stato organizzato dall'Arci e si terrà alle 18 presso la Biblioteca Provinciale (proprio di fronte al complesso di Santa Sofia) della città.
Interverranno anche Francesca Rendano, direttrice artistica di Lanificio25, e la referente Campaigning per la Circoscrizione Campania di Amnesty International.
La mostra delle tavole disegnate di "Burka!" ha già fatto il giro d'italia presso le librerie Feltrinelli e il libro ha ottenuto recensioni entusiastiche un po' su tutti i quotidiani e le riviste del Paese.
Da quando c'è mia figlia Myriam, non riesco più a guardare scene di film dove ci sono bambini piccoli in pericolo di vita.
Nel film Snakes on a Plane, filmaccio di serie b che proprio per la sua dichiarata rozzezza è meno peggio di come lo ha tratteggiato la critica, c'è un pargoletto che dopo essere caduto dalle braccia della madre (primo colpo al cuore) si ritrova circondato da serpenti inferociti pronti ad attaccarlo.
Lo dico subito - e non me ne fotte nulla degli spoiler - che il bimbo VIENE SALVATO in extremis da una coraggiosa hostess (che poi ci rimette anche la vita).
Ma io quando ho visto la ripresa in soggettiva dal rettile che scivolava sui calzini della creatura, ho avuto una crisi di nervi e ho dovuto cambiare il canale Sky sintonizzandomi su un programma per l'infanzia.
Il mio malessere è venuto fuori anche dinanzi a Dreams in the Witch House episodio della serie "Masters of Horror" (tratto da un racconto di Lovecraft) diretto da Stuart Gordon, dove un frugoletto di pochi mesi si ritrova a rischio sacrificio umano. E si è manifestato pure davanti al TRAILER di Open Water 2: Adrift con neonato isolato su una barca in mezzo al mare mentre i genitori coglioni non riescono a risalire a bordo (e chi conosce il pericolo di crisi ipoglicemica dei neonati - cosa che non ti fa dormire la notte nonostante la sveglia ogni due-tre ore - comprende il perché del mio turbamento).
Francamente la salvezza dei protagonisti di Open Water 2 mi interessava solo per il fantolino visto che, personalmente, un gruppetto di stronzi di quel tipo che si porta un bimbino appena nato in mezzo all'oceano, l'avrei gettato anch'io in pasto agli squali.
Ma questo mio atteggiamento mi rende consapevole di un'altra cosa, ben più importante: il fascino del genere horror viene meno con l'avanzare dell'età (perché ci si rende maggiormente conto di quanto orribile possa essere nella realtà la violenza e la morte) fino a dileguarsi dinanzi all'idea dell'innocenza indifesa in pericolo.
Con la nascita di Myriam mi sono reso conto che attualmente esiste una creatura per la quale - ancora di più di quanto già mi accadeva con mia moglie - sarei disposto a sacrificare immediatamente la vita e, se necessario, a uccidere chiunque nei modi più efferati se fossi costretto a difenderla dalla minaccia portata da un altro essere umano.
E tutto questo mi fa capire quanto la mia vita sia cambiata, di quanto abbia superato la linea d'ombra che separa la giovinezza dall'età adulta. Senza alcun rimpianto del passato ma anche con tanta fatica.
Mi tornano in mente le parole che il magnifico e corrottissimo protagonista del film Affari Sporchi - gioiello noir diretto da Mike Figgis - interpretato da un ottimo Richard Gere, rivolge al suo antagonista, il poliziotto degli affari interni incarnato da Andy Garcia, durante la resa dei conti finale:
"E' per i figli! I figli!... I figli cambiano tutto! Per i tuoi figli faresti qualsiasi cosa!"
Quando ascoltai per la prima volta Hurt dei Nine Inch Nails ebbi immediatamente l'impressione che si trattasse di una canzone destinata a fare epoca, l'inno perfetto per una generazione sbandata, fuoriuscita indenne dallo spettro della Guerra Fredda ma destinata a essere travolta dal neo-capitalismo d'assalto e dalla vacuità esistenziale di chi non intravede particolari obiettivi evolutivi davanti a sé. In questo video Trent Reznor è in piena addiction e l'atmosfera gotico-dark è solo apparentemente rispondente a un'estetica alla moda: in realtà è molto più sincera e complessa di quanto sembri:
A testimoniare la forza di questo pezzo è poi intervenuto Johnny Cash con una versione altrettanto commovente ma che va a toccare corde differenti, forse meno generazionali e più universali.
Il video - diretto da Mark Romanek, altro grande guru della "musica visiva" - non è per nulla celebrativo del grande artista americano, che qui sembra recitare il suo testamento spirituale.
In realtà lo scorrere delle immagini legate alla sua carriera rimanda a una nostalgia elegiaca che probabilmente ci attanaglierà tutti quando saremo più in là con gli anni e incominceremo a intravedere il traguardo della nostra vita.
Io la prima volta che l'ho visto non sono riuscito a trattenere le lacrime: in quel montaggio di sequenze c'eravamo io e il mio destino. C'era il destino di tutti quanti.